Entrando
in Val d’Elsa, dalla Superstrada Firenze-Siena, troviamo, fra i tanti cartelli
stradali che indicano le varie frazioni, uno in particolare che segnale“Semifonte”:
si tratta di un piccolo agglomerato di poche case, in cui a nessuno viene da
pensare che in questi luoghi, un tempo, sorgesse un castello e una città rivale
addirittura di Firenze.
Il
suo nome deriva dal latino Summus Fons (sorgente d’acqua su un’altura),
in seguito Summofonte, e, per ultimo appunto Semifonte (anche
nell’istrumento di pace, prima della sua distruzione il termine, riguardante i
suoi abitanti viene usato per quattordici volte Summofontesi e per
quattro volte Semifontesi); la sua fondazione avvenuta dopo il castello,
intorno al 1177, da parte del Conte di Prato, Alberto IV degli Alberti (Prato
era stata fondata all’inizio dell’ XI secolo dalla famiglia degli Alberti),
divenendo in poco tempo un importante centro, politicamente legato
all’imperatore Fedrico I detto il Barbarossa.
La
data della costruzione è avvallata dalla testimonianza del giudice fiorentino Senzanome,
spettatore di alcune fasi della guerra contro la città e della successiva
distruzione, che la colloca nel 1177, in l’occasione della discesa in Italia
dell’imperatore, in Toscana fino al gennaio 1178. Nella cronaca del Senzanone,
unico documento che ci racconta la nascita di Semifonte, leggiamo che il Conte
Alberto «Trascursis annis postea non multis» dal 1177 «dum
excellentissimus Fridericus primis, Romanurum imperator intraret Ytaliam, de
ipso confidens, de ipso castro super excellentioris monte qui di cebatur
Somofonti, castrum contruixit eodem nomine appellatum, eiusdem imperatoris
asumpto vexillo, quod nullum Ytalia melius nec forte simile preter unum».
da Wikipedia: le mura del borgo di Petrognano |
Lo
scopo del Partito Imperiale, di fatto, era impedire a Firenze di espandersi, creò
così una serie di castelli che la dividessero da Siena e Lucca,
come il
Castello di Fucecchio sull’Arno, insieme a S. Miniato, Semifonte e
Montegrossoli, tutte città fortificate, mentre le principali città della Tuscia
erano divise chiudendogli anche il passaggio alla Via Francigena, strada
principale per il transito di uomini e cose e di conseguenza fonte di grandi
guadagni.
Gli
altri luoghi fedeli all’imperatore oltre a Semifone, erano i possedimenti degli
Alberti di Certaldo, Castelfiorentino, Lucardo, Vico d’Elsa, Pogna e dei Conti
Guidi di Poggibonsi e Monte Rappoli.
La
costruzione della nuova fortificazione avrebbe tagliato fuori Firenze dai
collegamenti verso il sud, sulla Via Volterrana, e così nel marzo del 1182 la Repubblica fiorentina
organizzò una spedizione militare che sottomise Empoli, Pontorme, Pogna e distrusse
i cantieri di Semifonte; la spedizione
ottenne i risultati sperati, ed i vinti giurarono di «nec in Sumofonti pro
castello edificando vel in alio podio non ibimus pro castello vel fortizia con
construenga vel facienda aliquo ingenio» (né faremo alcunché per edificare
un castello in Semifonte né andremo in altro poggio per costruire un castello o
opere fortificate o per fare altri accorgimenti difensivi); queste sono le
parole degli abitanti di Pogna registrate dai notai fiorentini il 4 marzo 1182.
I
lavori per la costruzione della città vennero interrotti per circa due anni, quando
i Conti Alberti fecero ritornare gli operai e ricominciarono i lavori di
fondazione; Firenze non rimase a guardare e dichiarò nuovamente guerra agli
Alberti occupando di nuovo Pogna e distruggendo le fortezze alberatine di
Marcialla e di Mangona nel Mugello ove il Conte fu catturato. Per la sua
liberazione i fiorentini pretesero lo smantellamento delle fortificazioni di
Certaldo, la distruzione di Pogna, la metà dei guadagni dei dazi e pedaggi
sulla Via Francigena, oltre alla distruzione di Semifonte: «Ne cullo in
tempore reedificabimus vel permettimus reedificationem aliquo castellum de
Pogna, nec domus operas in Summofonte» (Né mai riedificheremo e
permetteremo la riedificazione con qualsiasi accorgimento del castello di Pogni
né di case o d’opere in Semifonte). Il giuramento fu fatto dal Conte Alberto
assieme ai figli Guido e Maginardus e la moglie Tavernaria.
I
patti non furono di nuovo rispettati e la costruzione della città continuò e il
19 agosto 1187 il Conte Alberto si presentò quale «comes Albertus de
Summufonte» a Bologna come testimone davanti all’imperatore Enrico VI, successore e figlio
del Barbarossa, e non come Conte di Prato: una chiara minaccia verso Firenze
perché toccare Semifonte voleva dire toccare gli interessi imperiali.
In
quello stesso periodo i Conti Guidi, alleatisi con Firenze, avevano fondato due
centri fra la Pesa
e l’Arno, Podium Bonizii ed Empoli. Il 18 luglio 1189 il Conte Alberto cedette
la metà dei suoi diritti sulla città a Scorcialupo de Montennano proprietario
del castello di Manternano nei pressi di Castiglione (attualmente Castellina in
Chinti) nel distretto di Sant’Agnese in Chianti nella diocesi di Siena, potente
famiglia senese la cui città era rivale di Firenze.
Nel
frattempo Semifonte aveva cominciato ad autogestirsi, e la prima attestazione
di un Comune di Semifonte si trova in una carta della badia di Passignano del
dicembre 1192 il cui governo era affidato a tre consoli e ad un consiglio di
cui sono rimasti i nomi di sette componenti: in questo periodo le milizie
Semifontesi (forse per ordine dell’imperatore Enrico VI) catturarono, sulla
Francigena, il Cardinale Ottaviano, Vescovo di Ostia, uomo importante della
Curia romana, rinchiudendolo nella fortezza di Monte Santa Maria Tiberina
presso Città di Castello, e depredarono tutti i messi pontifici di passaggio
mentre i suoi cavalieri arrivavano sin sotto le mura di Firenze per schernire
con un motto, forse leggendario: Va Firenze fatti in là, Semifon divien
città.
da Wikipedia: Torre di Pogna |
La
scena politica cambiò con la morte, nel 1197, a soli 32 anni, dell’imperatore Enrico VI
e l’avvento di Federico II di soli tre anni: la ribellione fu immediata ed i
primi a muoversi furono i comuni di San Gimignano e Volterra che si allearono
contro il Vescovo di Volterra e il rappresentante imperiale Bertoldo.
Tra
gli anti-imperiali c’era Firenze che con diverse città toscane tra le quali
Lucca, i Conti Guidi e altri. stipulò la “Lega di Tuscia” (1197-1198), sede
della trattativa fu S. Genesio.
Nel
1198 Firenze incominciò la riconquista del contado, prima il castello di
Montegrossoli, poi, l’11 maggio Certaldo, rafforzò il castello di Barberino e
infine conquistò Vico d’Elsa, accerchiando così la città rivale. Molti comuni
per paura dell’espansione fiorentina si schierarono con Semifonte, ma la loro
alleanza fu praticamente teorica. Ad aiutare Firenze ci pensò il Conte Alberto
tradendo di fatto la città da lui voluta che, per salvare parte dei suoi domini
feudali il 12 febbraio 1200 si accordò con i rivali vendendo loro per 400 libbre o 400 lire di
moneta pisana, la metà dei diritti sul castello e impegnandosi ad aiutarli
nell’assedio, ripetendo anche gli accordi del 1184, in particolare l’esenzione
dei pedaggi per mercanti e cittadini fiorentini.
Il
29 marzo 1201 nella canonica di San Miniato a Fonterutoli, Paganello da
Porcària Podestà di Firenze, e Filippo Malavolti, Podestà di Siena, si
incontrarono per porre fine alle divergenze che esitavano fra le due città, e
Siena si impegnava a non intervenire militarmente in favore di Semifonte.
Nei
primi mesi del 1202 i fiorentini strinsero l’assedio e Semifonte affrontò l’ultima
disperata difesa affidando la
Rocca di Capo Bagnolo (la fortezza principale) a Dainello di
Ianicone da Bagnano, mentre il comandante delle truppe fiorentine, il Console
Clarito Pigli (Pili o Pilli) fece arrivare truppe fresche e usò i “mangani”, le
macchine da guerra usate per scagliare grosse pietre e per la prima volta
Firenze usa il “fuoco greco”.
L’assalto
finale fu all’alba del 22 marzo 1202 e la leggenda dice che entrarono in città
grazie al tradimento di un soldato di San Donato in Poggio, Ricevuto di
Giovannetto, mandato in soccorso della città per avere compensi fiscali da
Firenze, ma quasi certamente fu un colpo di mano degli assedianti; il 31 marzo
la città era vinta, ma i soldati della Rocca comandati da Dainello si arresero
solo su ordine di Messer Scoto ultimo Podestà di Semifonte.
Il 3
aprile 1202 a
Vico d’Elsa fu redatto il trattato di pace tra Clarito Pigli e Albertus de
Monteautolo Podestà di S. Gimignano difensore degli interessi Semifontesi i quali
si impegnarono ad “appianare” tutte le fortificazioni, case, chiese della città
entro il mese di giugno dello stesso anno, e si dice che i materiali furono reimpiegati
per la costruzione della cinta muraria di Barberino Val d’Elsa e di non
ricostruire niente in quei luoghi per sempre, fra le clausole fu inserito anche
il perdono verso S. Gimignano, da parte di Firenze. per aver aiutato la città rivale.
A
scopo di pacificazione Firenze stanziò 4000 lire a fondo perduto per consentire
ai Semifontesi di stabilirsi in un area sottostante, dato che l’accordo
prevedeva che nessuna costruzione poteva essere fatta in quei luoghi per
sempre; ma questi preferirono disperdersi in altri centri; dopo soli ventuno
anni, dalla sua costruzione, la città che voleva oscurare la potenza di Firenze
cessava di esistere.
da Wikipedia: la Cappella dedicata a San Michele Arcangelo |
Solo
alcuni secoli più tardi, fu costruita una cappella, sopra il luogo dove sorgeva
anticamente il castello degli Alberti, su commissione di Giovan Battista di
Neri Capponi, canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e proprietario
della villa di Petrognano, che dopo aver chiesto e ottienuto il permesso a
Ferdinando I, dopo nove anni, cioè dal 1588 al 1597, la fece costruire, su
progetto di Santi di Tito, dedicandola a S. Michele Arcangelo a Semifonte; la
costruzione è a pianta ottagonale con una cupola che riproduce in scala 1:8 quella
del Brunelleschi a Firenze, ed è l’unica costruzione di spicco nella zona.
Come
sia stata la città, non è possibile dirlo con certezza, per mancanza di
evidenze sia archeologiche, che documentarie; comunque il Salvini definisce la
forma della città “stellata” a quattro punte anche per l’aspetto della collina e,
su ognuna di essa si apriva una porta in direzione dei punti cardinali: a nord
era chiamata Porta al Bagnano o alla Fonte, derivato da una fonte che si
trovava dietro le attuali case, da qui le mura andavano verso sud e si ha Porta
a Casa Pietraia; proseguendo fino al poggio di Pieve Vecchia ove c’era Porta
Razanella o Tezanella, da qui le mura seguendo l’andamento del terreno
arrivavano all’altezza di Casa S. Niccolò dove appunto si apriva la
Porta S. Niccolò, l’ingresso per chi veniva
da Vico d’Elsa. Da questa volgevano a nord-est raggiungendo il fianco
meridionale della Rocca di Capo Bagnolo che si ipotizza sia stata di forma
quadrata con torri d’angolo ed al centro una torre maggiore a forma ottagonale,
il “Cassero”; continuando verso est si trovava la Porta Romana o Porta Grande,
sormontata da una torre alta sessantanove metri denominata Torre del Leone e da
qui le mura si ricongiungevano verso la Porta a Bagnolo. Fuori della Porta Grande fu
edificato un Borgo, in seguito fortificato con una propria porta, Porta al
Borgo. Di questa imponente costruzione rimangono solo pochi e sparsi ruderi o delle
torri inglobate in altre costruzioni.
È
impossibile che tutte le fondazioni siano andate perdute, forse quando qualche
studioso assieme a qualche politico deciderà di stanziare dei soldi per
recuperare una parte della nostra storia potremo sapere qualcosa di più su
questa città perduta, ma non del tutto scomparsa.
di Chiara ed Enzo Sacchetti
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