lunedì 29 giugno 2015

Semifonte



Entrando in Val d’Elsa, dalla Superstrada Firenze-Siena, troviamo, fra i tanti cartelli stradali che indicano le varie frazioni, uno in particolare che segnale“Semifonte”: si tratta di un piccolo agglomerato di poche case, in cui a nessuno viene da pensare che in questi luoghi, un tempo, sorgesse un castello e una città rivale addirittura di Firenze.
Il suo nome deriva dal latino Summus Fons (sorgente d’acqua su un’altura), in seguito Summofonte, e, per ultimo appunto Semifonte (anche nell’istrumento di pace, prima della sua distruzione il termine, riguardante i suoi abitanti viene usato per quattordici volte Summofontesi e per quattro volte Semifontesi); la sua fondazione avvenuta dopo il castello, intorno al 1177, da parte del Conte di Prato, Alberto IV degli Alberti (Prato era stata fondata all’inizio dell’ XI secolo dalla famiglia degli Alberti), divenendo in poco tempo un importante centro, politicamente legato all’imperatore Fedrico I detto il Barbarossa.
La data della costruzione è avvallata dalla testimonianza del giudice fiorentino Senzanome, spettatore di alcune fasi della guerra contro la città e della successiva distruzione, che la colloca nel 1177, in l’occasione della discesa in Italia dell’imperatore, in Toscana fino al gennaio 1178. Nella cronaca del Senzanone, unico documento che ci racconta la nascita di Semifonte, leggiamo che il Conte Alberto «Trascursis annis postea non multis» dal 1177 «dum excellentissimus Fridericus primis, Romanurum imperator intraret Ytaliam, de ipso confidens, de ipso castro super excellentioris monte qui di cebatur Somofonti, castrum contruixit eodem nomine appellatum, eiusdem imperatoris asumpto vexillo, quod nullum Ytalia melius nec forte simile preter unum». 

da Wikipedia: le mura del borgo di Petrognano

Lo scopo del Partito Imperiale, di fatto, era impedire a Firenze di espandersi, creò così una serie di castelli che la dividessero da Siena e Lucca,
come il Castello di Fucecchio sull’Arno, insieme a S. Miniato, Semifonte e Montegrossoli, tutte città fortificate, mentre le principali città della Tuscia erano divise chiudendogli anche il passaggio alla Via Francigena, strada principale per il transito di uomini e cose e di conseguenza fonte di grandi guadagni.
Gli altri luoghi fedeli all’imperatore oltre a Semifone, erano i possedimenti degli Alberti di Certaldo, Castelfiorentino, Lucardo, Vico d’Elsa, Pogna e dei Conti Guidi di Poggibonsi e Monte Rappoli.
La costruzione della nuova fortificazione avrebbe tagliato fuori Firenze dai collegamenti verso il sud, sulla Via Volterrana, e così nel marzo del 1182 la Repubblica fiorentina organizzò una spedizione militare che sottomise Empoli, Pontorme, Pogna e distrusse i cantieri  di Semifonte; la spedizione ottenne i risultati sperati, ed i vinti giurarono di «nec in Sumofonti pro castello edificando vel in alio podio non ibimus pro castello vel fortizia con construenga vel facienda aliquo ingenio» (né faremo alcunché per edificare un castello in Semifonte né andremo in altro poggio per costruire un castello o opere fortificate o per fare altri accorgimenti difensivi); queste sono le parole degli abitanti di Pogna registrate dai notai fiorentini il 4 marzo 1182.
I lavori per la costruzione della città vennero interrotti per circa due anni, quando i Conti Alberti fecero ritornare gli operai e ricominciarono i lavori di fondazione; Firenze non rimase a guardare e dichiarò nuovamente guerra agli Alberti occupando di nuovo Pogna e distruggendo le fortezze alberatine di Marcialla e di Mangona nel Mugello ove il Conte fu catturato. Per la sua liberazione i fiorentini pretesero lo smantellamento delle fortificazioni di Certaldo, la distruzione di Pogna, la metà dei guadagni dei dazi e pedaggi sulla Via Francigena, oltre alla distruzione di Semifonte: «Ne cullo in tempore reedificabimus vel permettimus reedificationem aliquo castellum de Pogna, nec domus operas in Summofonte» (Né mai riedificheremo e permetteremo la riedificazione con qualsiasi accorgimento del castello di Pogni né di case o d’opere in Semifonte). Il giuramento fu fatto dal Conte Alberto assieme ai figli Guido e Maginardus e la moglie Tavernaria.
I patti non furono di nuovo rispettati e la costruzione della città continuò e il 19 agosto 1187 il Conte Alberto si presentò quale «comes Albertus de Summufonte» a Bologna come testimone davanti  all’imperatore Enrico VI, successore e figlio del Barbarossa, e non come Conte di Prato: una chiara minaccia verso Firenze perché toccare Semifonte voleva dire toccare gli interessi imperiali.
In quello stesso periodo i Conti Guidi, alleatisi con Firenze, avevano fondato due centri fra la Pesa e l’Arno, Podium Bonizii ed Empoli. Il 18 luglio 1189 il Conte Alberto cedette la metà dei suoi diritti sulla città a Scorcialupo de Montennano proprietario del castello di Manternano nei pressi di Castiglione (attualmente Castellina in Chinti) nel distretto di Sant’Agnese in Chianti nella diocesi di Siena, potente famiglia senese la cui città era rivale di Firenze.
Nel frattempo Semifonte aveva cominciato ad autogestirsi, e la prima attestazione di un Comune di Semifonte si trova in una carta della badia di Passignano del dicembre 1192 il cui governo era affidato a tre consoli e ad un consiglio di cui sono rimasti i nomi di sette componenti: in questo periodo le milizie Semifontesi (forse per ordine dell’imperatore Enrico VI) catturarono, sulla Francigena, il Cardinale Ottaviano, Vescovo di Ostia, uomo importante della Curia romana, rinchiudendolo nella fortezza di Monte Santa Maria Tiberina presso Città di Castello, e depredarono tutti i messi pontifici di passaggio mentre i suoi cavalieri arrivavano sin sotto le mura di Firenze per schernire con un motto, forse leggendario: Va Firenze fatti in là, Semifon divien città.

da Wikipedia: Torre di Pogna

La scena politica cambiò con la morte, nel 1197, a soli 32 anni, dell’imperatore Enrico VI e l’avvento di Federico II di soli tre anni: la ribellione fu immediata ed i primi a muoversi furono i comuni di San Gimignano e Volterra che si allearono contro il Vescovo di Volterra e il rappresentante imperiale Bertoldo.
Tra gli anti-imperiali c’era Firenze che con diverse città toscane tra le quali Lucca, i Conti Guidi e altri. stipulò la “Lega di Tuscia” (1197-1198), sede della trattativa fu S. Genesio.
Nel 1198 Firenze incominciò la riconquista del contado, prima il castello di Montegrossoli, poi, l’11 maggio Certaldo, rafforzò il castello di Barberino e infine conquistò Vico d’Elsa, accerchiando così la città rivale. Molti comuni per paura dell’espansione fiorentina si schierarono con Semifonte, ma la loro alleanza fu praticamente teorica. Ad aiutare Firenze ci pensò il Conte Alberto tradendo di fatto la città da lui voluta che, per salvare parte dei suoi domini feudali il 12 febbraio 1200 si accordò con i rivali vendendo loro per 400 libbre o 400 lire di moneta pisana, la metà dei diritti sul castello e impegnandosi ad aiutarli nell’assedio, ripetendo anche gli accordi del 1184, in particolare l’esenzione dei pedaggi per mercanti e cittadini fiorentini.
Il 29 marzo 1201 nella canonica di San Miniato a Fonterutoli, Paganello da Porcària Podestà di Firenze, e Filippo Malavolti, Podestà di Siena, si incontrarono per porre fine alle divergenze che esitavano fra le due città, e Siena si impegnava a non intervenire militarmente in favore di Semifonte.
Nei primi mesi del 1202 i fiorentini strinsero l’assedio e Semifonte affrontò l’ultima disperata difesa affidando la Rocca di Capo Bagnolo (la fortezza principale) a Dainello di Ianicone da Bagnano, mentre il comandante delle truppe fiorentine, il Console Clarito Pigli (Pili o Pilli) fece arrivare truppe fresche e usò i “mangani”, le macchine da guerra usate per scagliare grosse pietre e per la prima volta Firenze usa il “fuoco greco”.
L’assalto finale fu all’alba del 22 marzo 1202 e la leggenda dice che entrarono in città grazie al tradimento di un soldato di San Donato in Poggio, Ricevuto di Giovannetto, mandato in soccorso della città per avere compensi fiscali da Firenze, ma quasi certamente fu un colpo di mano degli assedianti; il 31 marzo la città era vinta, ma i soldati della Rocca comandati da Dainello si arresero solo su ordine di Messer Scoto ultimo Podestà di Semifonte.
Il 3 aprile 1202 a Vico d’Elsa fu redatto il trattato di  pace tra Clarito Pigli e Albertus de Monteautolo Podestà di S. Gimignano difensore degli interessi Semifontesi i quali si impegnarono ad “appianare” tutte le fortificazioni, case, chiese della città entro il mese di giugno dello stesso anno, e si dice che i materiali furono reimpiegati per la costruzione della cinta muraria di Barberino Val d’Elsa e di non ricostruire niente in quei luoghi per sempre, fra le clausole fu inserito anche il perdono verso S. Gimignano, da parte di Firenze.  per aver aiutato la città rivale.
A scopo di pacificazione Firenze stanziò 4000 lire a fondo perduto per consentire ai Semifontesi di stabilirsi in un area sottostante, dato che l’accordo prevedeva che nessuna costruzione poteva essere fatta in quei luoghi per sempre; ma questi preferirono disperdersi in altri centri; dopo soli ventuno anni, dalla sua costruzione, la città che voleva oscurare la potenza di Firenze cessava di esistere. 

da Wikipedia: la Cappella dedicata a San Michele Arcangelo

Solo alcuni secoli più tardi, fu costruita una cappella, sopra il luogo dove sorgeva anticamente il castello degli Alberti, su commissione di Giovan Battista di Neri Capponi, canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e proprietario della villa di Petrognano, che dopo aver chiesto e ottienuto il permesso a Ferdinando I, dopo nove anni, cioè dal 1588 al 1597, la fece costruire, su progetto di Santi di Tito, dedicandola a S. Michele Arcangelo a Semifonte; la costruzione è a pianta ottagonale con una cupola che riproduce in scala 1:8 quella del Brunelleschi a Firenze, ed è l’unica costruzione di spicco nella zona.
Come sia stata la città, non è possibile dirlo con certezza, per mancanza di evidenze sia archeologiche, che documentarie; comunque il Salvini definisce la forma della città “stellata” a quattro punte anche per l’aspetto della collina e, su ognuna di essa si apriva una porta in direzione dei punti cardinali: a nord era chiamata Porta al Bagnano o alla Fonte, derivato da una fonte che si trovava dietro le attuali case, da qui le mura andavano verso sud e si ha Porta a Casa Pietraia; proseguendo fino al poggio di Pieve Vecchia ove c’era Porta Razanella o Tezanella, da qui le mura seguendo l’andamento del terreno arrivavano all’altezza di Casa S. Niccolò dove appunto si apriva la Porta S. Niccolò, l’ingresso per chi veniva da Vico d’Elsa. Da questa volgevano a nord-est raggiungendo il fianco meridionale della Rocca di Capo Bagnolo che si ipotizza sia stata di forma quadrata con torri d’angolo ed al centro una torre maggiore a forma ottagonale, il “Cassero”; continuando verso est si trovava la Porta Romana o Porta Grande, sormontata da una torre alta sessantanove metri denominata Torre del Leone e da qui le mura si ricongiungevano verso la Porta a Bagnolo. Fuori della Porta Grande fu edificato un Borgo, in seguito fortificato con una propria porta, Porta al Borgo. Di questa imponente costruzione rimangono solo pochi e sparsi ruderi o delle torri inglobate in altre costruzioni.
È impossibile che tutte le fondazioni siano andate perdute, forse quando qualche studioso assieme a qualche politico deciderà di stanziare dei soldi per recuperare una parte della nostra storia potremo sapere qualcosa di più su questa città perduta, ma non del tutto scomparsa. 

di Chiara ed Enzo Sacchetti

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