lunedì 23 marzo 2015

I Macchiaioli



In un locale situato in via Larga (l’attuale via Cavour, 21) si trovava il Caffé Michelangelo, un luogo in cui gli artisti dell’800 si riunivano per discutere d’arte e di politica, quest’ultimo argomento assai diffuso fra gli intellettuali, vista la situazione italiana; e, proprio in quei locali un gruppo di artisti, intorno al critico Diego Martelli decisero di creare una corrente pittorica che uscisse dagli schemi tradizionali, in netta contrapposizione al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo Accademico, provocando così una certa diffidenza da parte dell’Accademia di San Marco diretta da Bezzuoli, chiusa negli schemi scolastici e didattici dell’arte. Si trattava infatti di una «rivoluzione di notevole portata per le sorti dell’arte moderna, e per il dialogo proprio in quegli anni intrapreso fra gli italiani, pertinacemente ancorati al primato del disegno, e gli artisti delle metropoli europee, portati invece all’esperimento e alla libera espressione dell’incalzante progresso sociale e dall’irrequieta palestra» (Carlo Sisi, Presentazione, in Silvia Bietoletti, I Macchiaioli. La storia. Gli artisti. Le opere, Firenze, Giunti, 2005, p. 7)

Telemaco Signorini, Mercato Vecchio (Firenze), bozzetto

I membri del gruppo erano dieci e tutti operanti a Firenze: Serafino De’ Tivoli di Livorno, Cristiano Banti di Santa Croce sull’Arno, Vito d’Ancona di Pesaro, Giovanni Fattori di Livorno, Vincenzo Cabianca di Verona, Giuseppe Abbati di Venezia, Odoardo Borrani,

giovedì 12 marzo 2015

Gli interventi di Giuseppe Poggi per Firenze Capitale d’Italia, la difesa del patrimonio artistico attraverso l’operato dell’architetto Corinto Corinti, il ruolo delle Soprintendenze



Alla fine del XIX secolo, con la proclamazione a Capitale d'Italia, ebbe inizio a Firenze la cosiddetta fase di "risanamento", una grandiosa operazione urbanistica ad opera dello stesso Comune che trasformò letteralmente il volto della città, a spese, purtroppo, del patrimonio artistico, culturale e ambientale.


All'inizio l'intervento di bonifica doveva interessare solo la zona del Mercato Vecchio, rimasta abbandonata con la costruzione dell'attuale Mercato Centrale, e il ghetto ebraico, nel quale ormai però gli ebrei non abitavano più dai tempi dei Lorena e che si trovava in condizioni fatiscenti. Si trattava della zona del centro storico, compreso tra le vie Roma, Calimala, Monalda, Porta Rossa, piazza Strozzi e le vie de' Pescioni e de' Cerretani: l'isolato, un esempio di altissimo valore ambientale esempio di urbanizzazione medievale, si presentava però all'epoca assai degradato e difficilmente vivibile sotto l'aspetto umano e sociale e non mancano, a ragione di ciò, testimonianze dell’epoca in cui viene ben descritta la situazione disagiata in cui si trovava l’area. Oggi raccolti nel libro "Firenze sotterranea", gli importantissimi articoli di Giulio Piccini giornalista de La Nazione conosciuto con lo pseudonimo di Jarro, denunciano lo stato di totale abbandono e degrado di molte zone della nostra città ed i continui atti di delinquenza subìti dagli abitanti: « Chi crederebbe che entro Firenze, città molle e vezzosa che ha per tutto levato grida di miti e dolci costumi, è una Firenze dove stanno in combutta il sicario e il ladro, l’assassino negli intervalli in cui esce dalle galere, e il lenone, il baruffino abietto e atroce; chi crederebbe che v’è una Firenze, dove le catapecchie si ammucchiano e fanno da sé un’orrenda città?».