Scrive
il Richa, II, 134 e seg. che “La
Chiesa è antichissima, ed assai più di quello, che parlano le
scritture a noi rimase, posciachè essendo ella una delle 36. Parrocchie, e chiusa
nel primo cerchio della Città, gode due autorevoli documenti di antichità. La
prima scrittura però, che si trovi, è un Istrumento de’ più rari, che abbia
L’Archivio del Capitolo Fiorentino, cioè una carta di Procura per la riforma
del Clero in tempo di Sedia vacante, che ha per titolo: Universus Clerus, et Dioces Flor. Eccl. Flor. vacante, faciunt eorum
procuratorem ad quam plurimum peragendum 1286. die 3. Aprilis. I primi
sottoscritti sono quattro Canonici a nome del Capitolo, ed al numero 44. tra’ Curati
leggesi: D. Cosmus Cappellanus Sancte
Margherite. Altra scrittura trovò Stefano Rosselli, che è un breve di Papa
Martino IV. Pel quale il Rettore di Santa Margherita Don Giovanni Peponi è
promosso al Presbiterato Fiorentinoo varcato per la morte di Tribaldo
Arciprete, ed il Breve è dato in Orvieto 3
Non. Iulii An. 1283. Di una terza ancora più vecchia scrittura debbo grato
al Sig. Domenico Maria Manni nel Sigillo 14. del Tomo XVIII. avendo egli
trovato un contratto di vendita, che fece il Conte Guido Salvatico della
Famiglia de’ Cerchi di alcune case, in
populo Sancte Margherite rogato Ser Rinuccino da Certaldo 1280”.
da Wikipedia: facciata della Chiesa |
La
prima documentazione sulla ecclesia
Santae Margeritae risale all’11 maggio 1032: dedicata a Santa Margherita di
Antiochia, l’edificio prese il nome dalla famiglia dei Cerchi che, insieme quelle
dei Donati e degli Adimari,
ne ebbe il Patronato, come è scritto in un rogito
di ser Lando Fortini, notaro che, la
data al 1353; come ci ha detto il Richa, essa fu una delle 36 parrocchie
fiorentine e, da allora, fu più volte rimaneggiata, fino ad assumere la forma
attuale; del XIII-XIV secolo sono le finestre a feritoia del coro e le strette
monofore sul fianco destro.
Oltre
alle finestre una traccia che ci consenta una datazione più antica è, la
facciata, in pietra a vista, ove si può scorgere un antico spiovente
d’inclinazione, più marcata dell’attuale e, sul lato sinistro, leggermente
sopra i tre occhi, aperti forse nel Quattrocento.
Tale
linea, indica, probabilmente, l’altezza originale della chiesa che, doveva
essere più piccola dell’attuale; sempre sulla facciata, a un metro circa dal
tetto, si nota, sulla destra, una differenza del muro che fa pensare ad un
primo intervento di ristrutturazione.
Il
definitivo innalzamento si è avuto nel Trecento, riferendo la sua pretesa
fondazione da parte delle famiglie dei Donati, Cerchi e Adimari è, forse a
questa ricostruzione appartiene il portale con arco a tutto sesto con sopra
scolpiti gli stemmi delle tre famiglie che ne avevano il patronato fin dal
1353.
Nel
Codice Rustici, il portale è sormontato da un piccolo portico pensile, del
quale, però, non è stato trovato traccia nel muro; questo ci fa pensare che al
suo posto ci fosse una tettoia come quella attuale.
da Wikipedia: interno della Chiesa |
In
un altro documento troviamo che grazie al lascito testamentario di Lionetto de’
Giochi del 1363, fu rifatto il tetto della chiesa, completando definitivamente così
la sua ristrutturazione; comunque gli studiosi ritengono che la chiesa risalga
a prima del Mille; ampliata nel XII-XIII secolo, e definitivamente
ristrutturata nella metà del Trecento.
L’interno
è una semplice stanza, con il coro leggermente sopraelevato; l’arco trionfale
fu strutturato con il rifacimento della tribuna agli inizi del Settecento da
Giuseppe Tonelli e, il dipinto sulla volta rappresentante una Gloria di Santa
Margherita, è di Giovan Battista Perini.
Due sono
gli altari, entrambi cinquecenteschi: quello di destra di patronato dei
Salviati, fatto costruire da Jacopo Salviati e dalla moglie Lucrezia de’
Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico nel 1533; quello di sinistra è dei
Portinari, discendenti di Folco Portinari, fondatore dello Spedale di Santa
Maria Nuova con la loro arme scolpita nei pilastri (una porta chiusa, con due
leoni neri rampanti che la mettono in mezzo in campo d’oro). Sopra l’altare
maggiore, si trova una Madonna tra Santa Lucia, Santa Margherita, Sant’Agnese e
Santa Caterina d’Alessandria, dipinta da Neri di Bicci.
Riguardo
alla fantasiosa e turistica denominazione di questo edificio come “chiesa di Dante”,
si deve ritenere questa ipotesi del tutto priva di fondamento: anche se la sua famiglia
come d’altronde quella dei Portinari ed altre famiglie fiorentine avevano case
nelle sue vicinanze, spesso leggiamo che il Sommo Poeta parla del suo “bel San
Giovanni”, cioè del Duomo, come la sua chiesa. Certamente è, però, bello
immaginare Dante giovinetto che guarda passare, la sua Beatrice, accompagnata
dalla nutrice, Monna Tessa e dalla madre Cilia de’ Caponsacchi alle funzioni
religiose e, forse, entrando in chiesa ci si può immaginare di respirare un po’
di quell’amore adolescenziale che ha portato con sé fino alla morte anche nelle
sue opere.
Nella
vita, però, i due prendono strade diverse, lei va sposa a Simone de’ Bardi e
lui da quando aveva dodici anni, cioè nel 1277, fu concordato ad accasarsi con
Gemma Donati, figlia di Messer Manetto e si unirono in matrimoni quando lui
aveva vent’anni. Da lei ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonietta e forse un
quarto, un certo Giovanni, “Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia”,
che, viene nominato come suo figlio quando compare come testimone a Lucca, in
un atto del 21 ottobre 1308. La figlia Antonietta divenne monaca nel Convento
delle Olivetane a Ravenna col nome (forse, per puro caso) di Sorella Beatrice.
Non
ci è concesso sapere se le loro famiglie si siano mai incontrate, ma, il loro
incontro più bello, se pur immaginario, lo troviamo nella sua Commedia quando,
lasciatosi alle spalle Virgilio, che gli ha fatto da guida nell’Inferno e nel
Purgatorio, lei lo accompagna in un meraviglioso viaggio nel Paradiso.
da Wikipedia: Borbottoni, l'Ospedale di Santa Maria Nuova |
Grazie
al padre di Beatrice, Firenze ha potuto usufruire fin dall’antichità di un
istituto assistenziale ospedaliero. L’ospedale di Santa Maria Nova fu fondato
da Folco Portinari nel 1288, convinto per la sua realizzazione da Monna Tessa,
la governante di famiglia le cui spoglie sono visibili sotto una lapide,
proveniente dalla chiesa di Santa Margherita de’ Cerchi nell’ex chiostro delle
Ossa dello Spedale.
È
una delle più antiche istituzioni assistenziali fiorentina, divenuta nel tempo
molto potente, grazie a lasciti e donazioni e, contando su numerose chiese
dipendenti sul territorio; la struttura, destinata alla cura degli infermi, era
suddivisa in due aree, femminile e maschile per accogliere circa duecento
assistiti.
Nel
XV secolo, lo spedale poté usufruire di una notevole floridezza economica e nel
1419 ricevette la visita di papa Martino V. A questo periodo risalgono gli
interventi di trasformazione e d’ampliamento dell’edificio, come l’aggiunta nel
1420, del chiostro delle Medicherie, ad opera di Bicci di Lorenzo.
In
questo luogo viene conservata una terracotta invetriata raffigurante “La Pietà” di Giovanni della
Robbia e un’altra terracotta con la “Madonna col Bambino e due angeli”
attribuita a Michelozzo.
Sempre
nei primi decenni del secolo XV, furono decorate le corsie da Niccolò di Pietro
Gerini, affreschi conservati, in parte, in loco, e una parte staccati e
ricollocati nel salone di papa Martino V.
da Wikipedia: la Monna Tessa |
Nell’ex
chiostro delle Ossa si trovava l’affresco rappresentante il “Giudizio
Universale” di Fra Bartolomeo, ora esposto al Museo di San Marco.
Nel
Cinquecento, il Giambologna, realizzò gli stucchi della corsia degli uomini, ed
Alessandro Allori, affrescò la cappella della stessa corsia; mentre Bernardo
Buontalenti affrescò e dipinse le pareti e il controsoffitto della corsia delle
donne (queste opere ora staccate sono conservate nella Pinacoteca dello Spedale
degli Innocenti).
Il
Buontalenti, progettò, anche, il grande porticato, che però, vide mai messo in
opera; fu eseguito da Giulio Parigi (1611) e definitivamente terminato, solo
nel 1960.
Nel
Seicento, l’antica corsia delle donne fu sostituita da Giovanni Battista
Pieratti con un nuovo ambiente nella zona ovest nel 1660.
Nel
cosiddetto Chiostro delle Ossa, antico luogo di sepoltura, fu costruito nel XIX
secolo, un tempietto in pietra serena con colonne e pilastri e al centro la
statua del Marchese Angiolo Galli Tassi, opera del Costoli con iscrizioni di
ringraziamento per le sue donazioni che dicono “Al benefattore, i beneficiati –
Anno MDCCCLXIII” e, sul davanti: “Al conte Angiolo Galli – che emulando la
carità degli antichi – l’avito patrimonio legava – agli ospedali toscani”.
All’ospedale
aveva fatto dono di due Ville Ruspali di sua proprietà.
Dopo
la chiusura di Ognissanti, Santa Maria
Nuova è rimasto l’unico Ospedale in funzione nel centro della città.
di Chiara ed Enzo Sacchetti
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