La
costruzione
Dedicata alla Beata Vergine del Carmelo, l’antica chiesa fu
iniziata nel 1268 come parte del convento carmelitano. L’ordine religioso arrivò
a Firenze intorno al 1260 e nel 1267 ricevette da Avegnene Vernaccia nelle mani
di Frate Matteo, priore provinciale dei Carmelitani, 300 fiorini e 6 staia del
terreno posto nella Parrocchia di San Frediano e una casa: il dono era,
infatti, il lascito testamentario del marito della donna, Cione Tifa di Ranieri
Vernaccia, probabilmente come pagamento di indulgenza.
Sabato 30 giugno 1268 fu benedetta la prima pietra della
costruzione, «que edifucatur ad honorem beate Virginis Marie de monte Carmeli
in parrochia ecclesie sancti Fridiani extra
muros civitatis iuxta ipsos muros» (Indizione 11a, documento del
Convento del Carmine, Archivio di Stato di Firenze, Fondo Diplomatico, Conventi
soppressi, 113).
La realizzazione dell’attuale basilica è il risultato di
molti interventi che ebbero luogo nei secoli successivi. Fra il 1328 e il 1330 il
comune concesse l’uso del terreno adiacente la quinta cerchia di mura, prima la
parte che andava da via Sitorno (ora via della Chiesa) alla porta del Carmine e
poi quella fino alla porta vecchia di San Frediano. La vendita del terreno fu fatta ad un costo piuttosto basso data la
scarsa possibilità economica dei frati: da alcuni documenti sappiamo che in
quel periodo non erano ancora iniziati i lavori per la croce e che fino al 1390
non esisteva alcuna cappella. Nel 1422 Amerigo Corsini, primo arcivescovo della
città, su domanda di Francesco Tommaso Soderini, consacrò la chiesa, benché non
fosse ancora «ridotta alla totale perfezione».
L’anno successivo Masolino e Masaccio iniziarono gli affreschi della Cappella Brancacci, chiamati da Felice Brancacci, un ricco mercante. Circa quaranta anni dopo vennero aggiunti la sala del capitolo e il refettorio.
L’anno successivo Masolino e Masaccio iniziarono gli affreschi della Cappella Brancacci, chiamati da Felice Brancacci, un ricco mercante. Circa quaranta anni dopo vennero aggiunti la sala del capitolo e il refettorio.
A metà del 1500,
a causa dell’alluvione e della spinta artistica da parte
del Duca, la chiesa venne adeguata ai nuovi dettami della Controriforma,
innalzando, per mano del Vasari, altari lungo la navata e sostituendo i vecchi
affreschi giotteschi e neogiotteschi (che furono coperti con una mano di
bianco) con tele manieristiche. Anche la struttura cambiò: il coro fu spostato
nella Cappella Maggiore, le cappelle absidali subirono profonde modifiche ed
enormi finestre rettangolari sostituirono le vecchie di stile gotico.
Intorno al 1765 cominciarono i lavori per la realizzazione
della Cappella Corsini, ceduta a questi dalla famiglia dei Serragli.. Nella
notte fra il 28 e il 29 gennaio 1771, mentre erano in corso i lavori per il restauro
del soffitto in legno, un disastroso incendio distrusse gran parte della
basilica. A seguito dell’evento iniziarono le opere di ricostruzione, terminate
definitivamente nel XVIII con l’architettura attuale: fu ristrutturata la
navata, con una volta a botte e riportati alla luce gli affreschi trecenteschi
della Sacrestia.
da Wikipedia: Facciata della chiesa del Carmine nell'omonima piazza a Firenze |
L’incendio
«Questa chiesa è quella che la notte di lunedì 28. venendo
il 29. dello scaduto mese in breve tempo rimase interamente incendiata dal
fuoco che si fece vedere poco dopo le ore 2. in cui furono avvisati quei religiosi, e
accorsero i soldati e le maestranze, e con indicibil zelo fecero ogni sforzo
per estinguerlo, ma non poterono salvar quel Tempio dalle divoratrici fiamme
per totale rovina della tettoia e soffitta, tutto caduto a ore 4. non essendosi
potuto finora sapere in che maniere si sia sulcitato un tal inopinato incendio.
La tettoia era composta di 27. cavalletti quasi tutti nuovamente costruiti
attentamente da maestro Filippo Bellini, in forma di gran resistenza... »
(dalla Gazzetta Toscana n.5, 1 febbraio 1771). «È parso impossibile che una
macchina lunga braccia 30 e larga braccia 125 alta 50 sostenuta da 27
grandissimi cavalletti abbia potuto consumarsi e precipitare in così poco
spazio di tempo» (Notizie dal mondo del 2 Febbraio 1771).
La chiesa del Carmine fu distrutta quasi interamente dall’incendio
che la colpì nel 1771 interessando quasi completamente l’interno. Per miracolo
si salvarono la
Cappella Corsini, la Sacrestia e la Cappella Brancacci.
L’opera di ricostruzione fu affidata a Giuseppe Ruggeri, architetto del
progetto, e Giulio Mannaioni, responsabile del cantiere e fu completata, a
parte la facciata, fra il 1775 e 1782.
La natura della disgrazia non fu mai del tutto chiara. Poco
dopo l’accaduto alcuni fatti fecero insinuare nei fiorentini l’ipotesi di una natura
dolosa. Quello che sembrava impossibile era che i frati non si fossero accorti
per tempo di quanto stava accadendo in chiesa. «Dolenti frati per la disgrazia,
per ripristinare l’incendiata chiesa il giorno dopo sparsero per la città
cassette e bossoli per l’elemosine, la cittadinanza e nobili parteciparono
largamente. Poco tempo dopo la catastrofe fu trovato affogato un frate del
Carmine nella vasca che era prima all’ingresso dello stradone del Poggio
Imperiale. Un fatto così strepitoso avrebbe dato luogo a delle indagini di
serissima conseguenza che si giustificarono in parte col volontario annegamento
nell’Arno successo 2 giorni dopo di uno dei soggetti sui quali la vigilanza
pubblica teneva fissati i suoi sguardi; ma la saviezza del Principe e i suoi più
alti provvedimenti ne imposero il più rigoroso silenzio».
Una nota curiosa sull’accaduto riguarda «l’estrazione del
Lotto che seguì ieri 31. del decorso in Firenze sotto l’arco maggiore dei
pubblici Ufizi fornirono i numeri 80. 1. 43. 84. 49.» (dalla Gazzetta Toscana
n.5, 1 Febbraio 1771). Nella cabala quei numeri si riferiscono alla chiesa
(84), all’omicidio dei frati (49 e 43), alla combustione (80) e al mese di gennaio o al fatto accaduto (1).
La struttura della chiesa
da Wikipedia: interno della chiesa di Santa Maria del Carmine |
La navata
Presenta per ogni lato cinque cappelle con altari,
decorazioni di stucchi e pale dipinte: fra le tavole più famose quella di
Giorgio Vasari della Crocifissione con la Vergine, Maria Maddalena e San Giovanni,
dipinta prima del 1563. Di notevole bellezza è l’ultima cappella in cui è posta
la statua della Madonna col bambino. La volta è stata invece affrescata
da Romei dopo il 1782 con l’Ascensione di Cristo, centro del culto
carmelitano.
La Cappella
Corsini
Si trova nel transetto, a sinistra dell’Altare Maggiore. Inizialmente
apparteneva ai Soderini e poi ai Serragli che la cedettero alla famiglia
Corsini che desiderava un luogo per onorare il loro antenato Andrea, un
carmelitano del XIV secolo venerato da quando Papa Urbano VIII lo aveva
canonizzato nel 1629.
I lavori per la costruzione dell’opera furono affidati a
Pier Francesco Silvani nel 1675.
Gli affreschi sul soffitto furono dipinti dal Giordano,
mentre le sculture in rilievo in stile barocco furono affidate a Giovan
Battista Foggini.
Spicca sull’altare centrale il monumento sepolcrale dedicato
al santo, sua ultima dimora; davanti alla tomba, sul pavimento si trova un’iscrizione
in bronzo che ricorda i committenti.
Dopo l’incendio, che ne aveva distrutto fortunatamente solo
l’arco di accesso, fu restaurata dallo stesso Foggini.
La
Cappella del Sacramento (fu Cappella di San
Girolamo)
Accanto alla Cappella Corsini c’è la Cappella del Sacramento:
qui è conservato, dietro una piccola porta, un avanzo del muro dell’antica
chiesa, con affreschi eseguiti dallo Starnina e dal Lippo, rappresentanti
storie di monaci. Adesso è possibile ammirarli in un locale del chiostro, come
il crocefisso ritrovato dal Padre Provinciale nel prolungamento della Cappella
accanto alla Brancacci.
La Cappella
Brancacci
Sul lato destro del transetto possiamo ammirare la Cappella Brancacci,
dipinta prima da Masolino da Panicale, poi da Masaccio e infine completata da
Filippino Lippi. I più famosi sono gli affreschi di Tommaso di ser Giovanni di
Simone Cassai della Cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva, restaurati
sul finire del 1900 e riportati all’antico splendore dopo le censure dei secoli
precedenti, e del Pagamento del Tributo. L’importanza delle opere dell’artista
di Castel San Giovanni è da ricercarsi nel primo tentativo, riuscito, di una
ricostruzione prospettica delle immagini, generando all’occhio di chi le
osserva la reale sensazione di entrare nell’affresco grazie a una profondità di
campo.
Al centro c’è la pala raffigurante una Madonna col
bambino risalente forse al 1268 e posta intorno al 1426 quando la Cappella fu ridedicata
alla Madonna del Popolo.
Del Masaccio deve essere ricordata la sagra dipinta per la
consacrazione della chiesa nella domenica in albis del 1422 e raffigurante una
«processione nel chiostro dell’attiguo convento in terra verde ritraendo una
grande quantità di gente in mantello e cappuccio fra i quali Donatello,
Brunellesco, Masolino da Panicate (suo presunto maestro), Antonio Brancacci
(che ordinò la decorazione della Cappella). Ma non soltanto personaggio
importanti egli dipinse, come il Padre portinaio con le chiavi in mano, con
dietro la porta, e tanti altri».
La
Cappella Maggiore
Dietro l’altare si trova la Cappella Maggiore,
costruita nel 1318 dalle famiglie Soderin-Nerli e adibita a coro a seguito
delle ristrutturazioni. Possiamo vedere l’affresco di Romei del Rapimento di
Elia sul carro di fuoco e l’organo disegnato da Mannaioni e costruito nel
‘700. Sulla destra possiamo ammirare il cenotafio marmoreo di Pier Soderini,
ultimo gonfaloniere fiorentino, morto decapitato e il cui corpo bandito da
Firenze. Da ricordare il ritrovamento da parte di un Padre Provinciale nello
stanzino collegato con il monumento di uno scheletro il cui collo era ricoperto
di calce e la pancia piena di paglia: una volta tolta la copertura si è potuto
stabilire che la testa era stata tagliata e che l’uso della paglia fosse
servito per imbalsamarlo. Queste due caratteristiche fecero ritenere probabile
la sepoltura proprio del gonfaloniere, soprattutto perché non ci sono documenti
che attestano la sua tumulazione in altra terra.
La sacrestia
Accanto alla Cappella Brancacci entriamo in sacrestia. Nella
stanza antecedente troviamo un sarcofago che è stato la seconda bara di
Sant’Andrea Corsini. Sotto il monumento possiamo invece scorgere un calco di un
autore moderno raffigurante la Pietà.
La sacrestia è dedicata a Santa Cecilia, la cui storia è dipinta
negli affreschi che abbelliscono le pareti della cappella in fondo alla stanza:
qui troviamo anche un altare ai cui lati ci sono gli stemmi della famiglia
Corsini e una bara, la prima dimora di Sant’Andrea.
Il sottosuolo
In una cappella laterale alla sacrestia c’è una porta che
conduce ai sotterranei. Scendendo la scala ci troviamo di fronte ad un lungo corridoio,
alla cui fine c’è un crocefisso che risale al 1100 con ai lati due statue
raffiguranti San Nicola e Sant’Andrea Corsini. Proprio qui si recava il santo a
pregare ed ora invece vanno a fare disciplina i Padri carmelitani. In una
stanza che apparteneva alla Congregazione di San Nicola possiamo vedere
affreschi del Quattrocento e del Duecento. Sull’altare c’è un busto del Santo
con occhi così particolari da sembrare veri. Un’altra stanza prende il nome di
Cappella dei morti perché venivano messe le ossa dei Padri dopo dieci anni
dalla morte.
di Chiara ed Enzo Sacchetti
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