sabato 18 giugno 2016

Sacra di San Michele

Il monte Pirchiriano su cui svetta questa abbazia, all’imbocco della val di Susa, vicino a Torino, era conosciuto fin dai tempi antichi: già i romani avevano messo un presidio militare per il controllo della strada che conduceva in Gallia ed in seguito usato dai Longobardi come baluardo contro i Franchi, una delle cosiddette chiuse longobarde, della quale restano tracce nel paese di Chiusa di San Michele, che troviamo prima del complesso ecclesiastico.

da Wikipedia: la Sacra di San Michele fra le nebbie

La fase iniziale riguardante la data della sua fondazione rimane fra storia e leggenda: è il monaco Guglielmo lo storico più antico che ce ne parla quando sul finire dell’XI secolo scrisse il suo Chronicon Coenobii Santi Mochaelis de Clusa, in cui indica la data di fondazione della Sagra al 966 ma si contraddice in seguito, indicando che questa fu costruita sotto papa Silvestro II, abate nell’abbazia di San Colombano a Bobbio, salito al seggio pontificio nel 999 fino al 1003. Ma anche gli stessi storici si trovano in contraddizione: alcuni segnano la costruzione nel periodo che va dal 999 al 1002 appunto durante il papato, altri l’anticipano al 983-987
periodo nel quale ci visse il Santo Eremita Giovanni Vincenzo, al quale viene attribuito la realizzazione del complesso anche quella del suo sacello un altro, la parte centrale dell’attuale cripta motivando che sia le nicchie, archetti e colonnine sono analoghe all’architettura Bizantina, presupponendo che il Santo Eremita fosse vissuto in parte a Ravenna.
Negli anni successivi venne costruito un piccolo cenobio con pochi frati e qualche pellegrino dal nobile francese Hugon di Montboissier che chiamò a dirigerlo l’abate Adverto di Lezat affidandolo in seguito a monaci Benedettini, i quali diedero un nuovo sviluppo alla costruzione (periodo fra il 1015-1035) erigendo l’edificio della foresteria staccato dal convento, che accoglieva i pellegrini che al tempo viaggiavano sulla Via Francigena e, forse l’architetto Guglielmo da Volpino eseguì il progetto della chiesa posta su quelle precedenti.
Il cosiddetto Monastero Nuovo, oggi in rovina, costruito sul lato nord, luogo dove probabilmente vi era il castrum romano, era un complesso di cinque piani comprendente locali che potevano ospitare decine di monaci, con celle, biblioteca, cucine, refettorio e altri spazi.

Da Wikipedia: la Torre della Bell'Alda

Tra i resti dell’edificio si nota la Torre della Bell’Alda alla quale è legata una leggenda che riguarda appunto una bella fanciulla di nome Alda: questa fuggendo ad alcuni soldati si ritrovò sulla cima del monte senza più nessuna via di fuga, disperata si mise a pregare e prima di essere raggiunta saltò nel vuoto, ma avvenne il miracolo: alcuni angeli la soccorsero facendola arrivare illesa a terra; per dimostrare, per sua vanità, ai compaesani il miracolo avvenutogli, volle rifare il salto, ma questa volta si sfracellò al suolo.
Tra il 1099 e 1131 l’abate Ermengardo fece iniziare l’ardita opera che tutt’oggi possiamo ammirare: l’imponente basamento alto ventisei metri che partendo dal picco del monte raggiunge la vetta a formare la base per la nuova costruzione, che, finita, farà raggiungere fra monte e abbazia i mille metri essendo alta quaranta e il monte novecentosessanta; ed è proprio la punta delle montagna a fare da base ad una delle colonne della costruzione che formano la base, sulla quale è visibile la scritta “Culmine vertiginosamente santo” con la quale la definiva il poeta rosminiano Clemente Rebora.
All’interno possiamo osservare, mediante i vari stili che si sovrappongono, il tempo impiegato per la sua costruzione, dato prima di tutto dalle difficoltà per il trasporto dei materiali, dalla costruzione del basamento e delle absidi costruite con la prima campata retta da pilastri rotondi ed il resto della struttura che ci mostrano tre diversi stili: il primo è un Romanico Normanno, il secondo un periodo di transizione ed infine il Gotico Francese.
«Tra il 1120 e il 1130 lavorò alla Sacra lo scultore Niccolò. Dal protiro, altissimo a più piani, si accede allo scalone dei Morti, così chiamato perché anticamente era fiancheggiato da tombe. Qui si trova la porta dello Zodiaco, con stipiti decorati da rilievi dei segni zodiacali, che all’epoca erano un modo per rappresentare lo scorrere del tempo (quindi una sorta di memento mori). In questi rilievi, simili a quelli dei popoli fantastici nella porta dei Principi di Modena, si riscontrano influenze del linearismo della scuola di Tolosa. Gli interventi fatti per adattare lo sviluppo architettonico costituito dalla vetta del monte Oirchiriano hanno portato al rovesciamento degli elementi costitutivi fondamentali. In tutte le chiese la facciata è sempre localizzata frontalmente rispetto alle absidi poste dietro l’altare maggiore e contiene il portale d’ingresso: al contrario la facciata della sacra si trova nel piano posto sotto il pavimento che costituisce la volta dello scalone dei Morti. La facciata è sotto l’altare maggiore, ed è sovrastata dalle absidi con la loggia dei Viretti, visibile dalla parte del monte rivolta verso la pianura padana».

da Wikipedia: lo scalone interno della Sacra

Per circa seicento anni i Benedettini furono ospitati nella Sacra e soltanto nel XVII secolo la costruzione fu abbandonata per oltre due secoli; finché nel 1836 il re Carlo Alberto di Savoia affidò il monumento ad una compagnia religiosa, quella di Antonio Rosmini, fondatore dell’Istituto della carità e, nello stesso anno il papa Gregorio XVI nominò i rosminiani amministratori di questa, lo stesso re fece traslare ventiquattro salme di Casa Savoia, dal duomo di Torino, mettendo i pesanti sarcofagi nella chiesa.
Nel 1803 la Sacra di San Michele perdette il privilegio di abbatia nullius, l’esenzione del controllo giuridico di un vescovo ad opera delle leggi napoleoniche: ristabilita nel 1817 perdendo però il privilegio e inserita nella diocesi di Susa.

Da Wikipedia: la facciata in una suggestiva immagine notturna
Infine una piccola ma carina curiosità sul luogo: lo scrittore, da poco scomparso, Umberto Eco si è ispirato anche a questa abbazia per il suo romanzo Il nome della rosa, ed mentre il romanzo di Marcello Simoni Il mercante di libri maledetti inizia proprio dalla Sacra di San Michele.

di Chiara ed Enzo Sacchetti

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