mercoledì 27 aprile 2016

Chiesa di Santa Maria Maggiore

La chiesa di Santa Maria Maggiore, situata nell’omonima piazza, fra il Battistero di San Giovanni e la chiesa di Santa Maria Novella, passa spesso inosservata, ai turisti e, per sfortuna anche agli stessi fiorentini, ma le sue mura possono raccontarci più di mille anni di storia della nostra città.
Le più antiche testimonianze, risalgono al X secolo (931- 964) e in un documento, i cui viene citato il vescovo Rambaldo come affittuario di un terreno e di una casa «Prope ecclesiam Sancti Marie Majores». Lo storico Villani, però, anticipa la costruzione dell’edificio a tempi precedenti, prendendo come testimonianza la lapide di consacrazione (quella originale è scomparsa, ma nel Seicento fu riportata sopra una cartella marmorea una copia e posta al lato dell’altare maggiore), sulla facciata interna della chiesa, sopra il dipinto di Spinello Aretino rappresentante Papa Pelagio che, insieme ai suoi vescovi sta consacrandola, e dalla quale si legge:
                
              SANTUS PELAGIUS PP. CONSEGRAVIT HANC ECCLESIAM
               S. MARIE MAIORIS SUB A.  D.  V.  VI.  DIE  XV.  APRILIS.

da Wikipedia: la facciata della chiesa di Santa Maria Maggiore nell'omonima piazza

Dobbiamo tenere presente che Pelagio I divenne Papa nel 556, mentre Pelagio II nel 579, e quindi la sua costruzione è antecedente alla documentazione certa; questa iscrizione è comunque stata riportata sia dal Del Migliore, e dal Baldinucci, che a tal riguardo ci dice “ed ancora dipinse (l’Aretino) la storia della consacrazione di detta chiesa fatta da papa Pelagio, che così si legge nella iscrizione ch’è nel muro a man destra del coro dell’altare”; una verifica la possiamo anche accertare, scendendo nella
cripta posta sotto l’altar maggiore, dove si può vedere una parte dell’abside dell’antica chiesa, risalente probabilmente a fine VI-VIII secolo, perciò nel periodo, della dominazione longobarda in Firenze, nel quale furono erette varie chiese come Santa Maria di Ferlaupe, San Michele Bertelde, San Pietro in Celoro San Michele delle Trombe (poi Santa Elisabetta), delle quali non è rimasto traccia della costruzione originaria, confermando così la loro teoria.
L’edificio è poi ricordato anche con la costruzione della cerchia matildina e, lo troviamo nel 1078, a ridosso delle mura che si trovavano lungo l’attuale via de’ Cerretani.
Nel 1021, la chiesa entra in possesso per donazione e per acquisto di un terreno detto di Cortipaldi,  il Davidsohn a questo proposito scrive: «Dove ora è il lato settentrionale della via de’ Cerretani, sorgeva una corte importante dei conti di Panico, i quali erano originari del territorio bolognese; si chiamava “Cortipaldi”, forma volgare di Curtis Upaldi ». Ciò è confermato da un documento dell’Archivio del Capitolo Fiorentino che dice: «[...] figlio di Domenico e Giuliana sua moglie figlia di Porcello di buona memoria dona una metà della corte, del terreno e dei beni siti in Firenze nel luogo detto Cortipaldi, confinanti per tre lati con la strada, per il quarto con la casa di Pietro di Malesso, alla chiesa e oratorio di Santa Maria Maggiore, e al suo rettore, e vende l’altra metà alla stessa chiesa, e ne da il prezzo alla propria suddetta moglie con la facoltà di spenderlo per le loro anime ecc. Rogò Rolando notaro il 4 dicembre dell’anno 1021. Testimoni maestro Pietro fiorentino...».
Nell’archivio capitolare si possono trovare atti notarili, che vanno dal 1107 al 1529, riguardanti donazioni e acquisti che fecero di questa chiesa per la sua ricchezza una prestigiosa comunità. Nel 1176 divenne Collegiata e fu una delle 12 antiche priorie, e grazie al suo potere ricevette la protezione papale da Papa Lucio III, poi riconfermata da Papa Urbano II.
Passata ai frati Cistercenzi, fu ricostruita in stile Gotico nel XIII secolo a pianta basilicale con tre navate divise da arcate a sesto acuto su pilastri quadrangolari terminanti con tre absidiole, come è attualmente, mentre per la costruzione del perimetro esterno furono utilizzati anche resti di costruzioni romane come l’acquedotto, che si trovava in linea con questa, del quale, una parte è inglobata nella stessa e visibile sul lato di via Cerretani e dalla piazza; come di epoca tardo romana è la testa di donna murata sul lato del campanile posto di lato alla chiesa (campanile sbassato nel ’500) che guarda la stessa via, chiamata dai fiorentini «la Berta».  Sull’origine di questa testa, sono sorte a Firenze, molte leggende, fra le quali: si dice, che una donna, affacciata ad una finestra stesse osservando il passaggio di un condannato a morte, che chiedeva dell’acqua, questa deridendolo disse: «Dagli da bere non morirà mai», il condannato gli rispose: «E di costì la testa tu non leverai» e, cosi avvenne. Il Del Migliore riteneva, invece, che questa Berta avesse fondato la torre donando un lascito perpetuo perchè fosse suonata una campana «alle quattr’ore».
Sulla facciata sappiamo, da un documento datato 31 marzo 1226, che c’era un Atrium, cioè un portico che si apriva sulla piazza; sempre su questa, durante i lavori di restauro avvenuti nel 1911, atti a togliere l’intonaco del ‘500, furono trovate tracce di un pulpito.
Secondo il Vasari, i lavori di rinnovamento dell’edificio furono diretti dal “Maestro Buono” nel XIII secolo, ma non dice chi egli sia, e ci ricorda ancora che Agnolo Gaddi dipinse una pala per l’altare maggiore, raffigurante l’Incoronazione della Vergine circondata da angeli, mentre la cappella maggiore presentava affreschi di Spinello Aretino con storie della Vergine e di Sant’Antonio Abate e, la consacrazione dell’antica chiesa; in realtà la cerimonia era stata affrescata sulla facciata interna. Questa cappella era stata successivamente, imbiancata a calce, e durante un restauro sono stati ritrovati due ampi frammenti in terrina verde, raffiguranti, Erode che riceve i Magi e la strage degli Innocenti che secondo gli esperti non si possono attribuire, con certezza a Spinello.
Durante il Quattrocento subì una forte crisi che diminuì sia le sue finanze che la sua importanza, tanto che nella visita Pastorale del Cardinale di Firenze Giulio dei Medici, nel 1514, fu definita in stato di degrado e l’anno successivo, papa Leone X la unì al Capitolo del Duomo.

da Wikipedia: interno della chiesa di Santa Maria Maggiore

Nel 1521 passò ai Carmelitani della Congregazione di Mantova (così chiamati perché il loro convento principale era in quella città), che si erano già stanziati presso la chiesa di San Barnaba, ed è per questo che nella prima metà del XVII secolo il complesso venne ristrutturato ad opera di Gherardo Silvani, probabilmente sulla base di precedenti disegni di Bernardo Buontalenti.
Nel 1715 fu ritrovata, probabilmente nel sottosuolo, insieme a resti di sepolcri, una colonna ritenuta appartenente al sepolcro di Brunetto Latini con incise le sue arme di sei rose (letterato e notaio fiorentino, maestro di Durante Alighieri), con sopra questa iscrizione: «S. BRUNETTO LATINI ET FILIORUM», i padri la collocarono dove si trovava un frammento dello stesso; lo storico Richa sostiene che il sepolcro era composto da un arca con quattro colonne e dato che la colonna è alta circa due metri, esso doveva essere imponente; altri, invece asseriscono che questa facesse parte della cripta perché data la forma non poteva che appartenere alla struttura dell’antica chiesa (Davidsohn III, pag 747), e che la tomba, sarebbe stata o terragna o sulla parete. Vicino a questa colonna troviamo pure una lapide funeraria del presunto inventore degli occhiali che dice: «QUI DIACE SALVINO D’ARMATO DEGL’ARMATI DI FIR. INVENTOR DEGL’OCCHIALI. DIO GLI PERDONI LE PECCATA. A. DO. MIIIXVII».
Molto belli sono gli affreschi di Santi situati nelle edicole dei due primi pilastri a destra, attribuiti a Mariotto di Nardo e la Madonna che allatta il Bambino.
Nella cappella di sinistra, oltre al settecentesco altare, troviamo una grande icona, in legno dorato policromo e scolpito, del secolo XIII, che rappresenta la Madonna in trono, attribuito alla bottega di Coppo da Marcovaldo. Sempre sulla parete sinistra è collocato un sarcofago con statua giacente di Bruno Beccuti attribuito a Tino di Camaino dell’inizio del XIV secolo. Alla metà del XVII secolo risalgono le opere del Poccetti (nella volta con gli affreschi della vita di San Zanobi), del Cigoli, di Pier Dandini, del Passignano, del Volterrano, di Matteo Rosselli (la Vergine che accoglie il Bambino e San Francesco) e di Vincenzo Meucci.
Nella sacrestia, infine, possiamo trovare un affresco che un tempo si trovava sulla lunetta del portale; insieme alla statua della Madonna col Bambino, opera del XIV secolo attribuita a discepoli di Giovanni Pisano (quella che vediamo esposta è una copia) e, nel suo basamento troviamo la scritta: hoc fecit fieri terrinus Johannis de Manovellis.

da Wikipedia: la testa della Berta, in alto nel muro laterale della Chiesa
Riguardo a opere fatte per questo edificio e poi portate altrove: il Vasari fa il nome di Masaccio: «Ancora in Santa Maria Maggiore, accanto alla porta del fianco, la quale va a San Giovanni, nella tavola di una cappella, una nostra Donna, Santa Caterina, e San Giuliano: e nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San Giuliano che ammazza il padre e la madre: e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo, con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare», in realtà questa tavola era quasi tutta di Masolino, e ne resta il San Giuliano al Museo Diocesano, mentre un pannello di predella, molto danneggiato, è stato attribuito al Masaccio e si trova al Museo Horne, mentre al Museo di Berlino troviamo due tavole di Sandro Botticelli.
Attraverso i secoli, molti sono stati i personaggi che fin dall’antichità sono entrati e, alcuni dimorato per sempre, in questa chiesa, come ci può dimostrare il sottosuolo, con la cripta, e l’attuale costruzione e, non solo persone comuni, ma anche grandi artisti e personaggi importanti, che hanno lasciato la loro impronta, come possiamo notare, dalle sepolture e dagli stemmi situati, sia nell’interno che sulla facciata.

Non dobbiamo, però, dimenticarci della «Berta», che da secoli osserva il via vai delle persone che svelte passano per la piazzetta (il palazzo di fronte alla chiesa, era un tempo sede della R.A.I.), sperando che qualcuno alzi lo sguardo, rivolgendogli un cenno di saluto.

di Chiara ed Enzo Sacchetti

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