La
chiesa di Santa Maria Maggiore, situata nell’omonima piazza, fra il Battistero
di San Giovanni e la chiesa di Santa Maria Novella, passa spesso inosservata,
ai turisti e, per sfortuna anche agli stessi fiorentini, ma le sue mura possono
raccontarci più di mille anni di storia della nostra città.
Le
più antiche testimonianze, risalgono al X secolo (931- 964) e in un documento, i
cui viene citato il vescovo Rambaldo come affittuario di un terreno e di una
casa «Prope ecclesiam Sancti Marie
Majores». Lo storico Villani, però, anticipa la costruzione dell’edificio a
tempi precedenti, prendendo come testimonianza la lapide di consacrazione (quella
originale è scomparsa, ma nel Seicento fu riportata sopra una cartella marmorea
una copia e posta al lato dell’altare maggiore), sulla facciata interna della
chiesa, sopra il dipinto di Spinello Aretino rappresentante Papa Pelagio che,
insieme ai suoi vescovi sta consacrandola, e dalla quale si legge:
SANTUS PELAGIUS PP. CONSEGRAVIT
HANC ECCLESIAM
S. MARIE MAIORIS SUB A. D. V.
VI. DIE XV.
APRILIS.
da Wikipedia: la facciata della chiesa di Santa Maria Maggiore nell'omonima piazza |
Dobbiamo
tenere presente che Pelagio I divenne Papa nel 556, mentre Pelagio II nel 579,
e quindi la sua costruzione è antecedente alla documentazione certa; questa
iscrizione è comunque stata riportata sia dal Del Migliore, e dal Baldinucci,
che a tal riguardo ci dice “ed ancora
dipinse (l’Aretino) la storia della consacrazione di detta chiesa fatta da papa
Pelagio, che così si legge nella iscrizione ch’è nel muro a man destra del coro
dell’altare”; una verifica la possiamo anche accertare, scendendo nella
cripta posta sotto l’altar maggiore, dove si può vedere una parte dell’abside
dell’antica chiesa, risalente probabilmente a fine VI-VIII secolo, perciò nel
periodo, della dominazione longobarda in Firenze, nel quale furono erette varie
chiese come Santa Maria di Ferlaupe, San Michele Bertelde, San Pietro in Celoro
San Michele delle Trombe (poi Santa Elisabetta), delle quali non è rimasto
traccia della costruzione originaria, confermando così la loro teoria.
L’edificio
è poi ricordato anche con la costruzione della cerchia matildina e, lo troviamo
nel 1078, a
ridosso delle mura che si trovavano lungo l’attuale via de’ Cerretani.
Nel
1021, la chiesa entra in possesso per donazione e per acquisto di un terreno
detto di Cortipaldi, il Davidsohn a
questo proposito scrive: «Dove ora è il
lato settentrionale della via de’ Cerretani, sorgeva una corte importante dei
conti di Panico, i quali erano originari del territorio bolognese; si chiamava
“Cortipaldi”, forma volgare di Curtis Upaldi ». Ciò è confermato da un
documento dell’Archivio del Capitolo Fiorentino che dice: «[...] figlio di Domenico e Giuliana sua moglie figlia
di Porcello di buona memoria dona una metà della corte, del terreno e dei beni siti
in Firenze nel luogo detto Cortipaldi, confinanti per tre lati con la strada,
per il quarto con la casa di Pietro di Malesso, alla chiesa e oratorio di Santa
Maria Maggiore, e al suo rettore, e vende l’altra metà alla stessa chiesa, e ne
da il prezzo alla propria suddetta moglie con la facoltà di spenderlo per le
loro anime ecc. Rogò Rolando notaro il 4 dicembre dell’anno 1021. Testimoni
maestro Pietro fiorentino...».
Nell’archivio
capitolare si possono trovare atti notarili, che vanno dal 1107 al 1529,
riguardanti donazioni e acquisti che fecero di questa chiesa per la sua
ricchezza una prestigiosa comunità. Nel 1176 divenne Collegiata e fu una delle
12 antiche priorie, e grazie al suo potere ricevette la protezione papale da
Papa Lucio III, poi riconfermata da Papa Urbano II.
Passata
ai frati Cistercenzi, fu ricostruita in stile Gotico nel XIII secolo a pianta
basilicale con tre navate divise da arcate a sesto acuto su pilastri
quadrangolari terminanti con tre absidiole, come è attualmente, mentre per la
costruzione del perimetro esterno furono utilizzati anche resti di costruzioni
romane come l’acquedotto, che si trovava in linea con questa, del quale, una
parte è inglobata nella stessa e visibile sul lato di via Cerretani e dalla
piazza; come di epoca tardo romana è la testa di donna murata sul lato del
campanile posto di lato alla chiesa (campanile sbassato nel ’500) che guarda la
stessa via, chiamata dai fiorentini «la Berta ».
Sull’origine di questa testa, sono sorte
a Firenze, molte leggende, fra le quali: si dice, che una donna, affacciata ad
una finestra stesse osservando il passaggio di un condannato a morte, che
chiedeva dell’acqua, questa deridendolo disse: «Dagli da bere non morirà mai», il condannato gli rispose: «E di costì la testa tu non leverai» e,
cosi avvenne. Il Del Migliore riteneva, invece, che questa Berta avesse fondato la torre donando un lascito perpetuo perchè
fosse suonata una campana «alle quattr’ore».
Sulla
facciata sappiamo, da un documento datato 31 marzo 1226, che c’era un Atrium,
cioè un portico che si apriva sulla piazza; sempre su questa, durante i lavori
di restauro avvenuti nel 1911, atti a togliere l’intonaco del ‘500, furono
trovate tracce di un pulpito.
Secondo
il Vasari, i lavori di rinnovamento dell’edificio furono diretti dal “Maestro
Buono” nel XIII secolo, ma non dice chi egli sia, e ci ricorda ancora che
Agnolo Gaddi dipinse una pala per l’altare maggiore, raffigurante l’Incoronazione
della Vergine circondata da angeli, mentre la cappella maggiore presentava
affreschi di Spinello Aretino con storie della Vergine e di Sant’Antonio Abate
e, la consacrazione dell’antica chiesa; in realtà la cerimonia era stata
affrescata sulla facciata interna. Questa cappella era stata successivamente,
imbiancata a calce, e durante un restauro sono stati ritrovati due ampi
frammenti in terrina verde, raffiguranti, Erode che riceve i Magi e la strage
degli Innocenti che secondo gli esperti non si possono attribuire, con certezza
a Spinello.
Durante
il Quattrocento subì una forte crisi che diminuì sia le sue finanze che la sua importanza,
tanto che nella visita Pastorale del Cardinale di Firenze Giulio dei Medici,
nel 1514, fu definita in stato di degrado e l’anno successivo, papa Leone X la
unì al Capitolo del Duomo.
da Wikipedia: interno della chiesa di Santa Maria Maggiore |
Nel
1521 passò ai Carmelitani della Congregazione di Mantova (così chiamati perché
il loro convento principale era in quella città), che si erano già stanziati
presso la chiesa di San Barnaba, ed è per questo che nella prima metà del XVII
secolo il complesso venne ristrutturato ad opera di Gherardo Silvani,
probabilmente sulla base di precedenti disegni di Bernardo Buontalenti.
Nel
1715 fu ritrovata, probabilmente nel sottosuolo, insieme a resti di sepolcri, una
colonna ritenuta appartenente al sepolcro di Brunetto Latini con incise le sue
arme di sei rose (letterato e notaio fiorentino, maestro di Durante Alighieri),
con sopra questa iscrizione: «S. BRUNETTO LATINI ET FILIORUM», i padri la collocarono
dove si trovava un frammento dello stesso; lo storico Richa sostiene che il
sepolcro era composto da un arca con quattro colonne e dato che la colonna è
alta circa due metri, esso doveva essere imponente; altri, invece asseriscono
che questa facesse parte della cripta perché data la forma non poteva che
appartenere alla struttura dell’antica chiesa (Davidsohn III, pag 747), e che
la tomba, sarebbe stata o terragna o sulla parete. Vicino a questa colonna
troviamo pure una lapide funeraria del presunto inventore degli occhiali che
dice: «QUI DIACE SALVINO D’ARMATO DEGL’ARMATI DI FIR. INVENTOR DEGL’OCCHIALI.
DIO GLI PERDONI LE PECCATA. A. DO. MIIIXVII».
Molto
belli sono gli affreschi di Santi situati nelle edicole dei due primi pilastri
a destra, attribuiti a Mariotto di Nardo e la Madonna che allatta il
Bambino.
Nella
cappella di sinistra, oltre al settecentesco altare, troviamo una grande icona,
in legno dorato policromo e scolpito, del secolo XIII, che rappresenta la Madonna in trono,
attribuito alla bottega di Coppo da Marcovaldo. Sempre sulla parete sinistra è
collocato un sarcofago con statua giacente di Bruno Beccuti attribuito a Tino
di Camaino dell’inizio del XIV secolo. Alla metà del XVII secolo risalgono le
opere del Poccetti (nella volta con gli affreschi della vita di San Zanobi), del
Cigoli, di Pier Dandini, del Passignano, del Volterrano, di Matteo Rosselli (la Vergine che accoglie il
Bambino e San Francesco) e di Vincenzo Meucci.
Nella
sacrestia, infine, possiamo trovare un affresco che un tempo si trovava sulla
lunetta del portale; insieme alla statua della Madonna col Bambino, opera del
XIV secolo attribuita a discepoli di Giovanni Pisano (quella che vediamo
esposta è una copia) e, nel suo basamento troviamo la scritta: hoc fecit fieri terrinus Johannis de
Manovellis.
da Wikipedia: la testa della Berta, in alto nel muro laterale della Chiesa |
Riguardo
a opere fatte per questo edificio e poi portate altrove: il Vasari fa il nome
di Masaccio: «Ancora in Santa Maria
Maggiore, accanto alla porta del fianco, la quale va a San Giovanni, nella
tavola di una cappella, una nostra Donna, Santa Caterina, e San Giuliano: e
nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San
Giuliano che ammazza il padre e la madre: e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo,
con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare», in
realtà questa tavola era quasi tutta di Masolino, e ne resta il San Giuliano al
Museo Diocesano, mentre un pannello di predella, molto danneggiato, è stato
attribuito al Masaccio e si trova al Museo Horne, mentre al Museo di Berlino troviamo
due tavole di Sandro Botticelli.
Attraverso
i secoli, molti sono stati i personaggi che fin dall’antichità sono entrati e,
alcuni dimorato per sempre, in questa chiesa, come ci può dimostrare il
sottosuolo, con la cripta, e l’attuale costruzione e, non solo persone comuni,
ma anche grandi artisti e personaggi importanti, che hanno lasciato la loro
impronta, come possiamo notare, dalle sepolture e dagli stemmi situati, sia
nell’interno che sulla facciata.
Non
dobbiamo, però, dimenticarci della «Berta»,
che da secoli osserva il via vai delle persone che svelte passano per la piazzetta
(il palazzo di fronte alla chiesa, era un tempo sede della R.A.I.), sperando
che qualcuno alzi lo sguardo, rivolgendogli un cenno di saluto.
di Chiara ed Enzo Sacchetti
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