mercoledì 9 maggio 2012

I primi tentantivi di unificazione d’Italia nei secoli bui (888-962 d.c.) (2a parte)

Da Guido di Spoleto a Berengario II, gli anni bui del Regno Italico

Seconda parte di Enio Luigi Pecchioni
[...]
Anche Adalberto d’Ivrea morì ed Ermengarda prese in mano le redini del marchesato. Berta si precipitò da lei, e piena d’ira redarguì la figlia che aveva preferito Rodolfo anziché prodigarsi per porre la corona sul capo del fratellastro Ugo di Provenza. Ermengarda si rese conto subito che era meglio avere come re un fratello del quale era stata pure l’amante, piuttosto di un amante che con lei non aveva saltuariamente altro legame oltre il letto. Usando il suo corpo e la furbizia, convinse i pavesi a mutare atteggiamento con Rodolfo ed ebbe con lo stesso un incontro notturno dove riuscì a persuaderlo a ritornarsene in Borgogna per suo amore e per avere salva la vita.
Infatti in quello stesso 924 Rodolfo trovò un accordo con Ugo per combattere gli Ungari che erano penetrati in Provenza ed insieme ricacciarli al di là del Rodano. Nello stesso anno però, mentre Rodolfo si trovava in Borgogna, l’Italia fu attaccata dagli stessi predoni, che devastarono la Lombardia e incendiarono Pavia; allora, nel corso del 925, Ermengarda si unì al proprio fratello Guido di Toscana e all’arcivescovo di Milano Lamperto, ed insieme si ribellarono a Rodolfo che aveva lasciato l’Italia in balia dei discendenti degli Unni. Gli stessi, in accordo con la nobiltà offrirono il trono ad Ugo, che l’accettò. Sbarcato a Luni proveniente dalla Provenza, il 9 luglio 926, Ugo fu incoronato a Pavia, dopo che Rodolfo, senza riuscirci, aveva tentato di rientrare in Italia.
Dopo i rovesci subiti da Ugo, (tra cui un nuovo attacco degli Ungari ed una ribellione di Pavia, del 931), i nobili italiani si recarono in Borgogna per richiamare Rodolfo in Italia, ma, nel 933, Ugo di Arles, al fine di chiudere la disputa, consegnò a Rodolfo, tutti i territori che aveva posseduto in Provenza (tutte le terre che aveva in Gallia prima di salire sul trono d’Italia), al patto che egli non rimettesse più piede nella penisola.


Ritornando leggermente indietro nel tempo, merita ricordare qualcosa di quanto succedeva a Roma.

Nell’estate dell’895 il Pontefice Formoso, in balia della fazione spoletana, aveva chiesto aiuto al Re di Carinzia, Arnolfo, il quale nonostante gli acciacchi era disceso in Italia marciando su Roma, dove Lamberto aveva concentrato il suo esercito e fatto imprigionare il Papa. Vuole più la leggenda della storia, che durante l’assedio di Roma il Re Arnolfo una mattina vedendo una lepre correre verso la città, con la spada in mano si lanciò al suo inseguimento. I soldati che erano all’assedio credendo che quello fosse un ordine di battaglia, partitorno all’assalto e dopo aver sfondato con l’ariete la Porta di San Pancrazio, penetrarono in Roma.
Arnolfo si recò subito a Castel S. Angelo a liberare il Papa. Quindi in San Pietro, dove Formoso l’incoronò Imperatore. Quindici giorni dopo, lasciata a Roma una piccola guarnigione, mosse su Spoleto ma per strada fu colto da un improvviso malore che gli storici hanno attribuito a strapazzi d’alcova. Arnolfo aveva infatti numerose amanti, e fra le braccia di una di queste si sarebbe sentito male. Non morì, ma fu costretto a rientrare in Carinzia perché l’inverno era alle porte.
Nel baillame penisolare e nella cosiddetta “età tenebrosa della Chiesa” non fu risparmiato il papato, schiavo di volta in volta della fazione spoletina dei Crescenzi e dell’aristocrazia romana dei Tuscolo. Dopo la morte e il macabro processo al cadavere di Formoso (897) il dominio passò al capo dell’amministrazione papale, magister militum, Teofilatto, la cui figlia Marozia, sposa prima di Alberico di Spoleto e poi di Guido di Toscana, riuscì ad imporre come papa il proprio figlio illegittimo Giovanni XI (931).
Ugo di Arles, desiderando consolidare la sua potenza, chiese l’alleanza di Marozia, perché lo aiutasse ad affermare il suo potere in Lombardia. Incoronato re a Pavia, si associò il figlio Lotario e si recò a Roma, dove sposò Marozia (per costei erano le terze nozze legittime, per non contare gli innumerevoli amanti che aveva avuto). Ugo mirava alla corona imperiale, ma non riuscì a raggiungere il suo scopo. Pochi giorni dopo il matrimonio, ad un banchetto osò schiaffeggiare, per ira, il figliastro Alberico (figlio di primo letto di Marozia) perchè mentre gli faceva da paggio, versandogli del vino aveva lasciato cadere per sbaglio la brocca per terra che si ruppe. Alberico in lacrime corse al Colosseo dove radunò una piccola folla di romani a insorgere contro il “barbaro” Ugo, che dovette fuggire.
Alberico, dopo aver cacciato Ugo ed imprigionata Marozia e Giovanni (932) realizzò per un ventennio in Roma una repubblica, sforzandosi di instaurare alcune riforme. Però i miglioramenti sociali dopo la morte di Alberico furono disattesi dal figlio, il dissoluto Ottaviano che governò la città prima come signore e poi come papa sotto il nome di Giovanni XII (956-963). 


D’altra parte sul papato aveva regnato Sergio (904-911), uno dei nemici di Formoso. Precedentemente c’era stato il papa Romano, ucciso dopo appena quattro mesi di pontificato; Benedetto, avvelenato; poi Leone, strangolato dopo un mese dall’antipapa Cristoforo; e infine Cristoforo soffocato con un cuscino dai sicari di Teofilatto per far posto al cugino Sergio: eventi capaci di cambiare poco o nulla nella Chiesa, ridotta in uno stato vergognoso, lacerata da lotte intestine dove pontefici e vescovi caduti nella corruzione più profonda si circondavano di servitori e concubine, imbandivano mense favolose e osannati da uno stuolo di cortigiani vivevano nei loro palazzi, ignorando la plebe, in un lusso da imperatori romani.
Dopo i rovesci degli ultimi anni (tra cui un nuovo attacco degli Ungari ed una ribellione di Pavia, del 931), i nobili italiani si recarono in Borgogna per richiamare il re Rodolfo in Italia, ma, nel 933, Ugo d’Arles, consegnò al re di Borgogna tutti i territori che aveva posseduto in Provenza, a patto che non rimettesse più piede in Italia. Nel 936 Ugo ritentò un nuovo assedio a Roma, che terminò con un trattato. Nel tentativo di riconciliarsi col figliastro tale accordo, prevedeva le nozze con la figlia di Ugo, Alda, avuta dal precedente matrimonio con Ada. Ci fu il matrimonio ma non la riconciliazione. Nel 937 Ugo, vedovo di Marozia, sposò Berta di Svevia, detta la Filandina, figlia del duca di Svevia e di Sassonia Bucardi II e vedova di Rodolfo II di Borgogna, mentre la figlia di Rodolfo II e Berta veniva fidanzata al figlio di Ugo, Lotario. Alla morte del duca di Spoleto, Teobaldo I, nello stesso anno (937) il ducato fu dato a suo nipote Anscario II, conte di Asti, figlio di Ermengarda e di Adalberto I, che si trovò a combattere contro il nuovo marito della vedova di Teobaldo, il conte palatino Sarlione che, nel 940, ebbe la meglio, uccidendo Anscario. Tale Sarlione fu poi battuto da Ugo, che lo costrinse in monastero.
Nel 941, Ugo, con la corruzione e le armi riuscì, per la terza volta, a rientrare nell’Urbe, ma anche questo tentativo fu di breve durata. Nello stesso anno associò al trono il figlio, Lotario II. A questo punto il più grande feudatario da contrastare era rimasto il marchese d’Ivrea, Berengario II (nipote di Berengario I), che riuniva tutta l’Italia nord-occidentale.Ugo tornò in Lombardia e riuscì a riappacificarsi con i Conti che gli si erano ribellati, con l’intento di catturare Berengario. Quest’ultimo insieme al figlio Adalberto dovette riparare in Germania, presso il duca di Svevia, Ermanno I, che lo condusse dal re di Germania, Ottone I di Sassonia, che pur non facendo nulla per Berengario si rifiutò di consegnarlo a Ugo. Comunque Ugo, nel 943, divise i vasti domini di Berengario tra i maggiori nobili: a Arduino il Glabro, la marca di Torino, a Aleramo, la marca del Monferrato, e a Oberto I, Luni e la Toscana.Nel 944 Ugo ritornò in Italia col figlio perché gli giunse la voce che i conti Lombardi gli si stavano di nuovo sollevando contro. Ma, all’inizio del 945, Berengario rientrò in Italia dirigendosi su Verona in mano al suo alleato, il conte Milone. Il nipote di Ugo, Manasse di Arles, che reggeva l’arcivescovado di frontiera di Trento, tradì lo zio e passò con Berengario; ci fu allora una diserzione generale, guidata dall’arcivescovo di Milano, e Ugo, che si trovava a Pavia, inviò a Milano il figlio Lotario II a supplicare i ribelli che commossi lo nominarono unico re. Ma mentre Ugo, nel 946, cercava di rientrare in Provenza, il marchese d’Ivrea lo intercettò e, per paura di una nuova invasione, lo rimise sul trono come coreggente. Umiliato, stanco e malato, nell’aprile del 947 Ugo ottenne il permesso di abdicare e fece ritorno in Provenza (con il tesoro del regno d’Italia), lasciando sul trono il figlio Lotario II (ma il governo era già retto da Berengario).
Ugo morì ad Arles il 10 aprile 948 mentre stava riorganizzando un nuovo rientro in Italia. Berengario divenuto falso consigliere di Lotario, alla morte di questi (950) ottenne la corona d’Italia. Le aspre vendette che egli perpetrò contro i partigiani di Lotario, gli suscitarono l’opposizione dello stesso pontefice, che richiese l’intervento di Ottone I il Grande. Ma su Berengario II incombeva un altro pericolo: le pretese di Adelaide di Borgogna, vedova di Lotario, ben decisa a rivendicare i propri diritti sulla corona d’Italia. Invano Berengario pretese che ella sposasse il figlio Adalberto. Sprezzando ogni minaccia, la coraggiosa donna invocò la protezione di Ottone I, il quale nel frattempo aveva avuto chiare prove della scarsa fedeltà del suo protetto e della poca propensione a mantenere gli obblighi di vassallaggio. Infatti, nel 951 Ottone valicò le Alpi e senza colpo ferire giunse a Pavia, sposò Adelaide e in virtù dei diritti di lei, si fece proclamare re d’Italia.
Le truppe di Berengario II si rifiutarono di combattere, costringendo padre e figlio ad asserragliarsi presso la fortezza di San Leo. Ottone li depose formalmente dal titolo regale e si fece incoronare Imperatore da Giovanni XII. Berengario fu fatto prigioniero (962) e fu mandato a Bamberga dove morì (966).

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