domenica 27 settembre 2015

La giustizia a Firenze

Passeggiando per le strade di Firenze, e in particolare nella parte più antica troviamo spesso delle lapidi affisse dai Signori Otto di Guardia e Balia che regolavano la vita della città, su cui erano segnati i nomi delle vie. Di una di queste però, per chi conosce poco la vita antica della città, rimane assai perplesso: è via dei Malcontenti, termine un tempo usato per indicare i condannati a morte che dopo la sentenza facevano questo percorso verso la Porta della Giustizia che oltrepassata portava al patibolo (questo fu spostato nel 1531 oltre Porta la Croce, attualmente fra viale Gramsci e via Colletta, mentre un’altra forca fu innalzata a sud-est della città, nell’attuale piazza Beccaria).

da Wikipedia: veduta di via dei Malcontenti a Firenze

I condannati venivano accompagnati al patibolo dalla Compagnia dei Neri che aveva il suo nuovo Tempio in borgo la Croce, dove ancora si può vedere un tabernacolo del 1740 ove sostavano i condannati, rinnovato il 9 agosto delle stesso anno da Luca di Bartolommeo Francalanci, reo di aver ucciso una ragazza e per questo condannato all’impiccagione e allo squartamento (la primitiva sede della compagnia si trovava vicino alla Zecca).
I confratelli portavano delle fasce per bendare il morituro, mentre uno di loro le gettava al boia gli altri si schieravano per coprire gli strumenti del supplizio; nel frattempo il condannato che aveva già meditato i “gradi”, la Passione di Gesù, recitati in ginocchio con cui poteva usufruire di ottantamila anni d’indulgenza,
diceva la Protesta, ossia una preghiera in cui dichiarava di morire fedele alla religione e si immunizzava dagli eventuali peccati commessi prima di essere giustiziato.  
Nell’ultima preghiera, recitata dai confratelli della Compagnia dei Neri si diceva al condannato di considerarsi fortunato e di aver avuto una grazia speciale, perché sapeva esattamente in quale giorno ed ora sarebbe morto, e concludeva: “... quanti vi sono stati nel mondo che hanno desiderato di sapere l’ora della loro morte. Eppur né i principi colla loro potenza, né i ricchi colle loro facoltà, i letterati colla loro dottrina, sino gl’istessi santi non hanno potuto ottenere tale grazia colla santità”.
Dopo l’esecuzione ripercorrevano a ritroso il tragitto portando seco il cadavere del reo, che a volte, invece veniva fatto a pezzi e appesi o alle mura del Bargello o agli angoli delle strade più malfamate come monito.
Ma i metodi per procurare la morte non si limitavano solo alla forca. Troviamo, infatti, il rogo, che a discrezione del boia il condannato poteva essere strangolato prima di ardere; la decapitazione, metodo che non ha bisogno di spiegazioni; lo squartamento, che consisteva nel legare le braccia e le gambe ognuna ad un cavallo che veniva poi lanciato assieme agli altri tre in direzioni opposte, ed altre tra cui la “propagginazione” (termine che tuttora indica il trapianto delle viti), supplizio che anche Dante Alighieri menziona nel Canto XIX dell’Inferno, consistente nel calare a testa in giù il disgraziato, dentro una buca, poi riempita lasciandogli fuori solo le gambe, costringendolo a subire un’atroce agonia.
L’estro umano nel cercare di procurare dolore ai suoi simili non si limitava soltanto alle esecuzioni capitali, ma era usato anche come mezzo alla ricerca della verità, spesso affidato agli aguzzini del Bargello con vari strumenti di tortura; il solo pensare il nome di questi strumenti che si trovavano al suo interno incuteva terrore, perché molti erano i metodi per indurre a confessare sia verità che menzogne.

da Wikipedia: interno del Bargello

Entrando nel palazzo, ad un lato si trovava il ceppo usato per tagliare la testa, davanti all’ingresso delle prigioni, situate nei sotterranei e composte da piccole celle in fila lungo un corridoio ove il malcapitato restava in attese delle camera di tortura o della morte nel buio quasi completo.
Gli aguzzini avevano una vasta scelta di attrezzi per il loro macabro lavoro come gli zufoli, un arnese che rompeva la noce del piede; i tassilli, cioè pezzetti di legno appuntiti e impeciati messi sotto le unghie e poi incendiati; la vigilia, un alto sgabello a punta di diamante sul quale l’interrogato veniva impalato; la licatura canubis, ovvero una cordicella legata al polso che veniva stretto per mezzo di un argano; tratti di corda con o no dei pesi legati alle caviglie, tormento nel quale con le mani legate dietro la schiena e collegate con una corda ad una carrucola, il disgraziato veniva sollevato da terra procurandogli già dolori alle articolazioni, dopodichè lasciato cadere di colpo fino a pochi centimetri da terra; la ruota, uno degli strumenti più antichi che faceva ruotare legato a questa su punte acuminate fissate in terra; la tortura dei capelli nel quale si legavano appunto i capelli della vittima e sollevata da terra; la pera, uno strumento appunto di questa forma che veniva infilato nelle “cavità” sia maschili che femminili e girando una manopola si allargava procurando tremendi dolori e molti altri. Un sistema più rapido di punizione era riservato agli scippatori ai quali, se colti sul fatto, il boia tagliava immediatamente la mano destra.
Esisteva però anche una punizione che divertiva il popolo di Firenze chiamata l’acculattata: sotto la loggia del Mercato Nuovo o del Porcellino, si può vedere al suo centro un disco con raggi di marmo scuro su sfondo bianco assomigliante ad una ruota: ci sono molte leggende al suo riguardo tra cui quella che si tratti dell’antico Carroccio che veniva portato in questo luogo quando si avvicinava una guerra. La pietra è in ogni caso conosciuta come il lastrone, usato per punire i falliti, i bancarottieri, i frodatori di soci, i debitori insolventi o i mancatori di parola data: gli incaricati del Bargello portavano i condannati sopra la lastra e denudandoli nella parte bassa posteriore, lo afferravano per le mani e per i piedi facendogli sbattere diverse volte il sedere per terra nel divertimento generale; questa volta il reo moriva si ma di vergogna; forse il detto popolare che dice “essere col culo per terra” indirizzato a chi non ha più risorse deriva proprio da questo!

da Wikipedia: l'acculata sotto la Loggia del Porcellino

Al servizio della giustizia fiorentina furono messi anche i pittori che non potevano rifiutare il lavoro commissionategli dai Signori Otto di Guardia e Balia che esercitavano sia la giustizia che la magistratura nei quattro quartieri (forse il detto di essere in balia di qualcuno  deriva proprio dal fatto che questi avevano tutti i diritti di legge verso i cittadini). Questi dovevano rappresentare a “fresco” il più rassomigliante possibile, i condannati sia sulle pareti del Bargello dalla parte di Via Ghibellina o sulla sua torre, sui palazzi dei Priori, della Mercanzia, della Condotta ed edifici delle Arti e sulle mura cittadine vicino alle porte perché chi entrava ed usciva potesse vedere rappresentati gli impiccati, e specialmente quelli che erano riusciti a fuggire dalla città prima dell’arresto: tutti erano dipinti impiccati per i piedi con una scritta denigratoria nei suoi confronti; la rappresentazione dei fuggitivi dava diritto a chiunque li avesse incontrati l’autorizzazione di ucciderli.
Questi artisti furono chiamati dal popolo “i boia del pennello”, e tra questi troviamo: Sandro Botticelli, Andrea del Castagno e Andrea del Sarto: lo stesso Andrea del Castagno fu chiamato “Andrea degli impiccati” per quanto il suo dipinto fu veritiero avendo impiccato nell’estate del 1440 coloro che si erano opposti al ritorno di Cosimo il Vecchio come i Peruzzi, gli Albizi, i Barbadori e tanti altri, portandosi per tutta la vita questo appellativo.
Per sapere chi fossero sotto ad ognuno furono scritti, oltre il nome, dei versi informativi, e l’incarico fu affidato ad Antonio di Matteo di Meglio detto anche Antonio di Palagio o il Buffone, essendo il Poeta di Corte incaricato di cantare alla mensa dei Priori e del Gonfaloniere ed anche di comporre cartelli infamanti.
Andrea del Sarto, invece, non volendo figurare come “impiccatore”, riuscì con un espediente (non avendo il coraggio di rifiutare la commissione) a far figurare nei documenti, un suo allievo Bernardo del Buda autore del dipinto e da farlo risultare anche di aver riscosso il compenso per il lavoro eseguito.
Sandro Botticelli nel 1478 fu incaricato di dipingere i partecipanti alla Congiura dei Pazzi contro la famiglia Medici ricevendo un compenso di quaranta fiorini, affresco che dopo solo un anno fu cancellato per l’intervento di papa Sisto V, che fra questi aveva degli amici. La stessa cosa accadde per il Duca di Atene di tutti i suoi ministri, appesi alle pareti del Bargello nel 1345 e qui rimasti fino al 1865, quando Firenze divenne Capitale
Una scena burlesca fu fatta eseguire da Ridolfo da Camerino quando seppe di essere stato  dipinto sui muri della città per ordine degli Otto, egli commissiono di dipingere sul muro del suo palazzo i Signori degli Otto a bocca aperta ed egli sopra di loro messo a nudo, con scritto: “io son Rodolfo da Camerino, signor di questa terra- che caco in gola agli Otto della Guerra”.

Riguardo alla tortura ed alla pena di morte in Toscana, il Granduca Pietro Leopoldo l’abolì nel 1786, facendo pubblicamente bruciare tutti gli strumenti di tortura, ordinando anche di murare i sotterranei del Bargello simbolo di tante sadiche barbarie verso dei poveri disgraziati che impotenti dovevano subirle.

di Chiara ed Enzo Sacchetti

Nessun commento:

Posta un commento

No fare spam o altro. I commenti con questo intento verranno rimossi