martedì 1 gennaio 2019

La sfortuna crea la fortuna di un ragazzo: Bernardo Buontalenti


Una lapide messa a memoria in via de’ Bardi, posta di fronte al Palazzo Camignati ci ricorda che per ben tre volte il Poggio de’ Magnoli era franato sulle case sottostanti a causa di piogge e alluvioni da parte dell’Arno: ed infatti ne vennero distrutte più di cinquanta nel 1248 «per un diluvio d’acqua»; case che vennero di nuovo ricostruite, e che subirono la stessa sorte una seconda volta.

Porta San Giorgio

La terza catastrofe avvenne il 12 novembre 1547, nella quale furono distrutte diciotto case, oltre al Palazzo dei Bardi e quello dei Del Nero,
oltre alla Madonna del Cardellino di Raffaello, andata in 17 pezzi e restaurata da Ridolfo del Ghirlandaio: a seguito di questo evento Cosimo I proibì la costruzione di edifici in quell’area come attesta una lapide posta al numero 18 della strada, lapide che deve essere tornata recentemente utile non molti mesi or sono, dopo la frana del Lungarno posto fra il Ponte Vecchio e quello alla Grazie, perchè sulla testata di un giornale era scritto che la suddetta collina si stava spostando; anche se in merito ad una possibile tragedia nessuna delle case o palazzi c’è stata un evacuazione di persone: forse la natura della lettura della lapide sarà stata una divergenza economica di responsabilità dato che il muro del Lungarno che guarda il fiume sembrava un prato verde.
Veniamo al racconto di ciò che avvenne quel tragico giorno del XVI secolo: tra gli scampati al disastro ci fu un ragazzo di undici anni, e come ci scrive il Baldinucci, egli «forse a cagione di volta, o di palco, che gli facesse riparo, rimase coperto si, ma non morto, né offeso dalle rovine; e perché niuna cosa mancasse che potesse cooperare al suo scampo, restò nella rotta muraglia tanta apertura che bastava per tramandare al di fuori le strida del misero fanciullo...», e ci dice, proseguendo il racconto «nel frattempo il fanciullino se ne stava in quel luogo chiedendo aiuto, fra la gente che quivi si affollava, gettando per entro quell’apertura chi pane e chi altra cosa per sostenerlo in vita, finché fosse tolta via la gran montagna di sassi e di calcina che lo ricopriva, passò uno staffiere del Duca Cosimo, ed atterrito da così fatta novità, subito ne portò l’avviso al palazzo del suo signore».

Bernardo Buontalenti

Il granduca mandò in soccorso altra gente per aiutare a salvare il ragazzo e quando questi venne tratto fuori dalla macerie lo fece portare a Palazzo Vecchio, sostenendolo e facendolo studiare, divenendo in seguito uno dei più grandi architetti dell’epoca; il nome del ragazzo era Bernardo Buontalenti. (La disgrazia e la lapide sono tornati di recente alla ribalta della cronaca, esponendo la criticità della tenuta del terreno collinare dopo il crollo del Lungarno sulla testata di un giornale; lo scopo? la disgrazia forse è dipeso dalla responsabilità di incuria di cui purtroppo la città di Firenze è soggetta; ed il caso ancora più strano è il fatto che non sono stati notificati allontanamenti di residenti nella zona.)
Lavorò sia per Cosimo I, ed alla morte di questo per il figlio Francesco I con il quale aveva avuto nel tempo un rapporto di amicizia; sin dalla giovinezza era divenuto allievo sia del Vasari che del pittore Salvati, studiando nel frattempo le opere architettoniche di Michelangelo per il quale, nel 1564 partecipò alle esequie pubbliche dell’artista con una tela, andata disgraziatamente perduta, che rappresentava i grandi fiumi del mondo.
Dopo la morte del Vasari, avvenuta nel 1574, divenne l’Architetto di Corte occupandosi di interventi urbanistici, tra i quali l’ampliamento della città di Livorno, e l’apparato fatto nel Battistero fiorentino per il battesimo del principe Filippo, avvenuto nel 1577, oltre a realizzare per la corte medicea feste, spettacoli, e giochi pirotecnici, dei quali i loro disegni sono tuttora conservati agli Uffizi.

Mura di Livorno

Completò il complesso degli Uffizi, realizzando nell’ingresso dell’antica chiesa di San Pier Scheraggio, tra il 1583 ed il 1586 un teatro, il Giardino di Boboli, mentre nel 1564 fu, insieme ad altri, un collaboratore di Baldassarre Lanci nella costruzione di Terra del Sole, estendendo la sua conoscenza anche alla Fortificazione moderna, come nel caso del Forte di Belvedere, ed anche riguardo alle mura delle città prodigandosi infatti a quelle di svariate città come Pistoia, Grosseto, Sansepolcro, Prato, Portoferraio e Napoli perfezionando anche le armi ed inventando la Granata incendiaria.
Oltre che a costruzioni militari, si cimentò a costruzioni religiose come nel 1593 innalzò la facciata della chiesa di Santa Trinita, sostituendo quella medievale e nel 1601 eseguì l’Altare del Crocifisso dei Bianchi nella chiesa di Santo Spirito, e altre opere ancora.
Le sue conoscenze si estesero anche all’oreficeria, alla ceramica e all’ebanisteria, disegnando arredi e oggetti preziosi per la corte medicea; come architetto nel 1568 progettò il Palazzo di Bianca Cappello, in via Maggio, la Villa di Pratolino (costruzione andata distrutta) tra il 1569-1575 con la grandiosa scultura dell’Appennino, il suo parco con fontane, le quali creavano sfruttando la luce dei giochi d’acqua e soprattutto gli automi, una sorta di antesignani dei robot che portavano qualsiasi cosa venisse messo sopra; nel 1569 sistemò la Villa Medicea di Lappeggi, progettando nel 1570 la Villa di Trefiano e, molte altre vennero da lui ristrutturate e progettate.

L'Appennino nella Villa di Pratolino

Negli anni, il Buontalenti, si era economicamente rovinato e venne salvato grazie al Granduca, il quale gli concesse una pensione; morì il 6 giugno 1608 ed il suo corpo venne sepolto nella tomba di famiglia posta nella chiesa di San Niccolò d’Oltrarno.
Nel Giardino di Boboli si può ammirare le decorazioni interne di due grotte da lui eseguite: una è la Grotticina della Madama fatta nel 1570 e, l’altra eseguita nel 1575 che porta appunto il suo nome; vediamo come è strutturata.

 
Ingresso della Grotta del Buontalenti
La Grotta del Buontalenti o Grotta Grande, venne iniziata da Giorgio Vasari il quale creò la parte inferiore della facciata, mentre la sia completa realizzazione è dovuta a Bernardo Buontalenti, su commissione di Francesco I de’ Medici, il quale la realizzò nel decennio che va tra il 1583 e il 1593 inserendo nell’opera, un capolavoro manieristico, un armonioso abbinamento fra Architettura, Pittura e Scultura e proprio in questo luogo si trovavano, fino al 1924 “i quattro Prigioni” incompiuti di Michelangelo Buonarroti, attualmente esposte nella Galleria dell’Accademia.
All’esterno, il suo ingresso è posto tra due colonne sormontate da un architrave con sopra i suoi capitelli creazioni spugnose assomiglianti a stalagmiti che sembrano colate dall’apertura della lunetta posta sopra di esse con creazioni di stalattiti, mentre ai lati dell’ingresso due nicchie contengono due opere di Baccio Bandinelli rappresentanti “Cerere e Apollo”.
La parte superiore della facciata è dominata da una grande lunetta con due cornici a mosaico di ciottoli logorati dentro i quali troviamo stucchi con festoni e Capricorni marini, mentre il timpano ha sopra ciascun bordo creazioni spugnose con al centro lo stemma della famiglia Medici; poco sotto due figure femminili in posizione sdraiata eseguite a bassorilievo.

Interno della Grotta


Entrando nella prima stanza troviamo elementi di Architettura, scultura e Pittura confondersi armoniosamente fra loro, presentando un tema legato all’alchimia, un argomento particolarmente caro a Francesco I: cioè il caos che attraverso la metamorfosi trova ordine a armonia; infatti dalle pareti sia le rocce, stalattiti, spugne e conchiglie paiono animarsi in figure antropomorfe e zoomorfe, scolpite dallo stuccatore Pietro Mati, mentre ai quattro lati della stanza si trovano le copie delle Prigioni, le quali essendo scolpite soltanto a metà sembrano uscire dalle rocce; infine la scena prende la forma di una grotta, nella quale si rifugiano i pastori per sfuggire ed anche meglio difendersi dagli animali selvatici ed anche gli affreschi di Bernardino Poccetti, che molto bene si inseriscono con il resto della scena arrivano fino ad un soffitto decorato come se fosse un pergolato con un oculo aperto al centro che illumina ulteriormente l’ambiente.
Un elemento che ulteriormente aumentava la bellezza della grotta e che per sfortuna al momento non è possibile ammirare erano i giochi d’acqua che all’epoca valorizzavano la bellezza di questo capolavoro dei quali sono state trovate evidenti tracce durante il restauro eseguito durante la fine degli anni novanta del secolo scorso nel quale vennero alla luce molti canalini in terracotta, che  facevano scendere dal soffitto delle gocce d’acqua creando uno spettacolo di luci e riflessi, mentre dall’oculo del soffitto, secondo il progetto originale, si trovava una vasca con dei pesci, mentre nella fontana che tutt’oggi è posta al centro del locale una roccia trasudava acqua.
Procedendo nella seconda stanza, molto più piccola della precedente,si vedono riportate le stesse decorazioni della prima, cioè stalattiti, conchiglie ed affreschi, mentre sulle pareti laterali due dipinti racchiusi un due nicchie, anch’esse dipinte raffigurano “Giunone e Minerva”, ed al centro troneggia un gruppo marmoreo, opera di di Vincenzo de’ Rossi del 1560, il quale rappresenta “il Rapimento di Elena da parte di Paride” oppure secondo alcuni “Teseo e Arianna”.
La terza ed anche ultima stanza è anch’essa decorata come fosse una grotta nella quale volano nel cielo degli uccelli con al centro un opera del Giamboligna, la fontana “della Venere che esce dal bagno” nella quale la dea troneggia sopra la vasca sopra la quale quattro satiri si arrampicano insidiandola e gli spruzzano acqua.
L’interpretazione del complesso è ritenuto quasi sicuramente a sfondo erotico, perché nella prima stanza la “visitatrice” rimaneva stordita dal senso del magnifico e del grottesco, mentre nella seconda la bellezza e il rapimento dava ad intendere i tentativi di approccio; nella terza la nudità di Venere implicava la ricerca di un rapporto.
Qualunque sia l’opinione degli esperti riguardo il significato dell’opera; questa è, e rimarrà in grande capolavoro da ammirare.

di Enzo Sacchetti
     

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